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atto secondo.—sc. i. 285

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Turba, campione uom per antica fama
Ed austeri principii sì possente,
Tor che divenga.
Enzo.                              Ognun qui Leoniero
Paventa; e anch’ io il pavento. Or per lui dunque
Comincisi. Ammendar, s'error commisi,
L’error conviemmi. A me le vie lasciarne
Piacciavi solo.
Senatori.                              In te fidiamo.
Enzo.                                                  Il tempo
Urge; all’impresa accingomi; e allorquando
Fatto il padre avran mio l’arti o l’ardire,
Norma ci fia il silenzio, o la baldanza
De’ cittadini, a più tentare o a starci.[1]


SCENA II.

ENZO.

Di timid’arti consiglieri sempre!
E innanzi sì magnanimo mortale,
Innanzi un Leoniero, io timid’ arti,
Io vil menzogna adoprerò? I sublimi
Spirti qual tu, genitor mio, ogni colpa
Tranne viltà perdonar ponno. — Al primo
Scontro, a me trarlo io, sì, dovea: gl’indugi
Il senno son de’ pavidi. — M’inganno,
O Eloisa odo? — Ascolterolla?— Un lampo
Splendemi: se per essa Arrigo ancora
A piegar valgo ed il castello acquisto,
Un delitto risparmio, il padre mio
Più non assalgo; tutto allora è vinto.

  1. I Senatori e Uggero partono.
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