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atto secondo.—sc. v. | 293 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:298|3|0]]
Come mai donna non amò! Sì grato
T’era un di quest’amor! Donde in oblio
Così il ponesti! In che mancai? Lasciarmi
Perchè vuoi desolata!...— Ah, sì, tu piangi?.
Ho vinto, ho vinto![1]
Enzo. Arrigo....
Arrigo. A questa donna
D’esser stata d’Arrigo, Enzo, perdona.
Or da me la dividi. — Al mio destino,
Custodi, conducetemi.
Enzo. Oh ferocia!
E in mezzo al pianto pur?...
Arrigo. Sì, in mezzo al pianto
Che pietà e amor mi strappano, io la patria
E il dover mio rammento. — Enzo, i tuoi patti
Spregio.
Enzo.E il tuo spregio, o temerario, è morte.
Eloisa.Ah no, barbari! Uditemi.
Arrigo. La forza
Onde il cor tuo abbisogna, il ciel ti doni.[2]
Eloisa.Seguirlo voglio. — Sposo.... — io manco.
Enzo. Uggero,
Costei soccorri. — È impreteribil uopo
Di Leoniero impadronirci. Andiamo.
ATTO TERZO.
Cortile nel castello.
SCENA I.
AUBERTO, GHIELMO, UBALDO, BERENGARIO, altri Guerrieri, l'Oratore milanese.
Auberto.Sospirato a noi giungi, o di Milano
Illustre nuncio. In quali nove angosce
Gemiam, t’è noto.