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308 leoniero da dertona.

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Senatorio potea, darti ivi il primo
De’ seggi or può. Preside tu in senato,
E Corrado custode è del castello.
Lando.Ah, tutto puoi!
Enzo.                         Di voi stessi minori
Dunque non vi mostrate. Ostaggio vero
Ite forse?
Corrado.                    No, il credono gli stolti,
E a nemici fatali albergo danno.
Pace, o Lando, in te sia. Di Berengario
Con Enzo e me gli ascosi patti or sai;
Nè nostro è Ubaldo men. L’opportuna ora
Che lenta forse aspetterian, più ratta
A lor trarrà nostra sagacia; e mentre
D’Enzo i guerrieri invadono la porta,
Più non ha ostaggi Auberto.
Enzo.                                                  Nè temenza
D’avventar parricida arme il furore
Mio nella strage frenerà.
Lando.                                             Si vada.
Ma se sventura, o tradimento, i fidi
Nel castel ne togliesse....
Enzo.                                             Anzi cho voi
Perder, prime colonne al poter mio,
Ogn’altro affetto cede: il padre rendo.


SCENA II.

ENZO.

Che feci? Io quei che basse arti finora
Oprar sdegnava! — Una maligna stella
Di delitto in delitto mi travolve;
Degli audaci la stella.[1] Anche tu, Ubaldo!
«L’amistà ti disdico.!» — E Berengario
All’amata e a Corrado.... Oh me felice
Che a me sol venner questi fogli![2] — Il padre

  1. Prende due fogli sul tavolino, li rilegge fremendo.
  2. Passeggia un momento in silenzio.
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