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atto quarto.—sc. II. 309

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Ad ogni costo si racquisti.[1] — Il passo
Corrado e Lando affrettano. E potei
Così mandarli a certa morte? Stolti,
Che presumervi ad Enzo necessari
Già v’ardivate! a ciò v’adopro! Amici
Chi tutto toglie e tutto dona ha mai?
Paura e cupidigia a piè del forte
Strisciar li fa: sgabello siangli adunque! —
Alla ròcca or son giunti. — E se un dì illesi
Riedon?... Nemici a me mortali allora...—
Di vostra tempra, oh no, non son gli spirti
Ch’Enzo paventa! Arrigo io paventava.
E ne’ miei lacci ei cadde pur; nè il sole
Splenderà più su due siffatti mai
Quai furo Enzo ed Arrigo. — Eppure un altro....
Ah, terribile è un altro! — Eccolo, egli esce
Del castel. — Quell’altero portamento
Mia baldanza sconvolge.[2] — Ond’è ch’io tremo?
Tuoi moti son, natura? O tal possanza
Ha l’aspetto del giusto? — Assomigliarti,
Padre, potessi! — Debolezza è questa?
Rimorso forse? — Oh avventurato l’uomo
Che adulto abbraccia i genitori, adulto,
Ma col candido cor con che fanciullo
Ei li abbracciava, e dir puote a sè stesso:
«La lor canizie han mie virtù onorato!» —
Vaneggio? — Altra virtù, ma virtù pure
M’arde: un voler che tutto affronta e vince!
E vincerà te pure, o Leoniero!
Tenerezza paterna al dir del figlio
Ti piegherà; d’un figlio cui circonda
Tutta la pompa del poter; — nè sfregio
È questa pompa che vero odio ispiri:
Ma d’Eloisa, che il compagna, i detti
A’ miei nuocer potriano. Uggero!

  1. Guarda dalla finestra.
  2. Cerca di ricomporsi. S’allontana dalla finestra. Passeggia luttando con sè stesso. Torna a guardare con inquietudine.
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