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320 | leoniero da dertona. |
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SCENA II.
UGGERO e detti.
Uggero. Signore,
Che a te movessi scongiurommi il padre
Tuo con parole di mortale angoscia.
Appo Arrigo ei si stava entro la torre
Con Eloisa, quando il reo qui tratto
Volesti. Inenarrabile spavento
Di Leonier s’impadroní. La torre
Salse, e di là sul genero la scure
Minacciosa egli vide. I miserandi
Ululi d’Eloisa inteneriro
Del vecchio l’alma. Ei pianse, e a me tremando
«Deh, vanne, disse, al figlio mio: consenta
Che ad Auberto io favelli. Io sol tai patti
Offrir potrò, che a tutti fien salute.»
Enzo.Che dir vuol ei? Gli assedïati indurre
A cedere potria?— Che temo?— Ei vinto
Fia dal terror? Credere il deggio? — Venga.
Possente scorta l’accompagni: trema,
Se al popolo ei fuggisse![1] — [2]Alta vittoria
Non m’è se al poter mio sè stesso ei curvi? —
Ma qual frastuon dentro il castello?
SCENA III.
Vengono strascinati sulle mura CORRADO e LANDO.
Guerrieri sulle mura. Morte!
Morte!
Corrado. Dinanzi a te da universale
Furor siam trascinati, Enzo.
Auberto. D’Arrigo
(Poichè vano sinora era il mio prego),
Enzo, chi mi risponde, ecco: gli amici
Tuoi.