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344 | ERODIADE. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:349|3|0]]
Da questa reggia escluder tu volessi
Una innocente?
Erodiade. Che dicesti? Astretta?
Non son, nol sono!
Giovanni. Il sei. V’ha una misura
D’infortunio nell’anima, d’angoscia —
Su delitti compiuti ad uno ad uno,
Senza considerarli, indi veduti
Ne’ giorni che il Signor toglie l’ebbrezza
Dell’impudenza e del coraggio — a cui
L’uom non resiste. E tal misura, o donna,
In te si trova, e beneficio estremo
È del Signore. Ed opra anco è d’antiche
Alte virtù che t’adornaro, e spente
Appien non sono; e più, di quella grande
Possa d’amor che a’ cari tuoi t’avvince.
Il so, misera; il so, d’Iddio gli strali,
Più che per te medesma, ahi! li paventi
Per l’uom che fuggir devi, e per l’amata
Che dal tuo sen nasceva. Ah! tanto amore
Saría infecondo di pietà?
Erodiade. Partiamo.
Mia figlia.... — Anna, qui traggila.[1]
Erode. Ed io fremo,
E tanta audacia pur sostengo? Oh quale
Possanza m’incatena anzi un inerme,
Un prigioniero, un ch’al mio cenno è polve!
Giovanni.Qual? la possanza di Colui che parla
De’ deboli pel labbro, e allor son forti.
Qual? la certezza ch’ei ti pone in core,
Che nel mio ministero io non ho scopo
D’umana gloria, o guiderdon; che l’odio
Stimol non m’è, bensì l’amor, lo zelo
Del voler del Signore; e che, s’a un cenno
Polve puoi farmi, questa polve il vero,
Il terribile vero avrà pur detto!
Erode.Sì, la possanza ch’anzi a te mi frena
- ↑ Anna esce.