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348 | erodiade. |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:353|3|0]]
Forse maggiori, m’esporrei? Sì, Erode,
Ma in tua balía mi rendo. Al padre mio,
Con questo pegno fra le mani, imporre
Puoi dura legge.
Erode. Ah, questo è troppo, o donna!
Tanta virtù mi scuote. Alti rancori
Ci dividean, ma in pregio ognor ti tenni.
A nuove angosce non ti chiama Iddio. —
Olà! — tornata è la regina: a lei
Come a me stesso ognun presti onoranza.[1]
SCENA VI.
GIOVANNI.
Giovanni.Tutto opra Iddio per ricondur quest’empio
Alla salute: sperar deggio?— Io tremo![2]
ATTO TERZO.
SCENA I.
SEFORA.
Sefora.E perchè almen non lice all’uom di Dio
Starsi al mio fianco? E al carcer suo vietati
Perchè sono i miei passi, e non più alcuno
De’ discepoli suoi può visitarlo?—
Ah! quel santo era mesto, e mi guardava
Commiserando. E allor ch’io palpitante
Dissi: «Salute, ahi, non prevedi!» oh come
Pio sfavillò e rispose: «Io non prevedo
Maggior sciagura, che morir. La temi?
Sefora, pensa al nòstro Dio; la temi?»