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atto quinto.— sc. ultima 373

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SCENA ULTIMA.

ERODE, la Fanciulla e detta.

Erode.Nol previd’io? Che ti giovò?
Erodiade.                                                  Pel giuro,
Figlia, ch’Erode proferì, la testa
Di Giovanni gli chiedi.
La Fanciulla.                                   Oh ciel!
Erodiade.                                                  L’impongo.
Erode.No!
La Fanciulla.[1]     Pel tuo giuro, per calmar gli affanni
Della misera madre!...
Erodiade.                                        Ed altro giuro
Io a te pronuncio. O a mia vendetta immoli
Questo profeta di terrori e obbrobri,
O alle continue trame onde sei cinto,
E ch’io sperdeva, alfin ti lascio. Indarno
Vivo non serbi l’impostor; dal fondo
Del carcer suo trarrallo un giorno il volgo,
Messia proclamerallo, e del superbo
Erode il trono crollerà.
Erode.                                             S’uccida!— [2]
Donna, ah l’ultimo sia questo olocausto
All’ira tua! Di Sefora ti chieggo
Invïolati, in suo dolore, i giorni.
Ostaggio prezioso in altre mura
Io la terrò, nè sofferir più mai
L’aspetto suo non dovrai tu.
Erodiade.                                                  L’aspetto....
Di lei?... sempre lo soffro! — Erode.... alcuno
Dirtel non osa.... — Io l’ho svenata!
Erode.                                                            Oh detto!
Non fia, non fia!
Erodiade.                              Barzane a’ guardi tuoi,
Per cenno mio, l’esangue spoglia ascose.

  1. Ad Erode.
  2. Una guardia esce.
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