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atto quarto. — sc. iv. 33

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Lanciotto.Tuo signor sono. Quel ribello brando
Cedi.
Paolo.[1]          Fratel.... tu disarmarmi?... Oh come
Cangiato sei!
Francesca.                              Pietà!... Paolo!
Paolo.                                                       Francesca!
Lanciotto.Donna....
Guido.                    Vieni; sottratti al furor suo.




ATTO QUINTO.


La sala è illuminata da una lampada.




SCENA I.

FRANCESCA e GUIDO.

Francesca.Deh, lo placasti?
Guido.[2] Egli mi vide, e sorse
Spaventato dal letto. — Oh cielo! è giunta,
Sclamò, quest’alba sciagurata. Io debbo
Perder Francesca?.... Ogni consiglio or cangio,
Senza lei viver non poss’io. — Frattanto
Lagrime amare gli piovean sul volto;
E or te nomando infurïava, or pieno
D’amor ti compiangea. Fra le mie braccia
Lungamente lo tenni, e con lui piansi,
Libero freno al suo dolor lasciando.
L’acquetai poscia con soavi detti,
E il convinsi che meglio è che tu parta
Senza vederlo. Andiam.
Francesca.                                        Padre, non fia;
S’or nol riveggio, noi vedrò più mai.
Rancore ei serba contro me; secura

  1. Oppresso dallo guardie.
  2. Venendo dalle stanze di Lanciotto.
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