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392 | tommaso moro. |
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Deh sia l’accusa. Il mondo sappia ch’io
Covar non so durevol ira; ch’io
Nei primi impeti miei se talor chiesto
Ho da te sangue, pochi istanti appresso
Raccapricciai di mia ferocia; e pianto
Versai sugli infelici offensor miei,
E salvarli agognai.
SCENA IX.
CROMWELL e detti.
Arrigo. Cromwell, che rechi? .
Cromwell.Una sentenza.
Anna. Ohimè! Di chi? di Moro?
Cromwell.No, giudicato ancor non è.
Arrigo.[1] Dannato
È l’amico di Moro alla mannaja.
Anna.Chi?
Arrigo. L’arrogante vescovo, che noi
Dagli altari imprecava.
Anna. Ingiurie atroci
Dimenticar leve non m’è. Ten chiesi
Con lagrime vendetta; or che vendetta
Vicina sta, m’inorridisce, e chieggo,
Chieggo che a sua vecchiezza, al sacro manto
Che sì lungh’anni gli omeri gli cinse,
All’avermi fanciulla un dì portata
Fra sue braccia tu miri, e gli perdoni.
Arrigo.E non pensi che il vescovo implacato
Era di Moro l’anima? l’impulso
A biasmar le mie leggi? a rimanersi
Nel culto ch’io riprovo?
Anna. Ahi la sentenza,
Te ne scongiuro, non soscriver. M’odi.
Neri presagi mi funestan; mai
Così atterrito il cor non ebbi. Un fine
Abbiano tanti eccidi. Al regno tuo
- ↑ Dopo letta la sentenza.