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atto terzo. — sc. II, III. 405

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Arrigo indi la gloria oggi s’oscuri;
Che al grande Arrigo s’apra oggi un abisso
Impreveduto, ove la sua grandezza
Precipiti e si perda, e stupefatti
La cerchino i futuri, e dubitando
Dicano: «Ei forse non fu grande mai!»
Arrigo.Temerario!
Cromwell.                                         Di sudditi fedeli
Debit’è, d’un monarca affrontar l’ira,
Per impedire il danno suo. Gagliarda
Nella chiesa britannica operaste
Riforma salutar, ma funestata
Da orrendo sangue. Se con ferma destra
La mantenete, se compirla osate,
Le stragi che costò s’oblïeranno,
E lode avrete d’assennato e pio:
So nell’impresa vacillasse Arrigo,
Se, dando retta a perfidi consigli,
L’opera sua infiacchisse od annullasse,
Inclito frutto alcun di questo regno
Non resterebbe, e resterebbe fama
Obbrobrïosa degli’ eccidii suoi.
Arrigo.Resterà fama che vigor bastante
Arrigo avea, da non voler la mente
Altrui seguir, ma sì la propria. Intendi?
Esci.
Cromwell.          Deh, sir, pensate....
Arrigo.                                                   Esci!


SCENA III.

ANNA e detti.

Anna.                                                             L’ingresso
Perchè a Tommaso Moro anco s’indugia?
Consenti, o sir, ch’addotto alfin qui venga.
Arrigo.Cromwell, qui Moro traggi.
Cromwell.                                                   (Ah son perduto!)[1]

  1. Parte
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