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416 tommaso moro.

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Andò temprando, lacrimò, pentissi
Di sua superbia, e confessò che santa
Della chiesa britannica ei dovea
La riforma appellar. Raccomandossi
Del re nostro signore alla clemenza,
Ed a clemenza il re per lui si mosse.
Moro.Impudente menzogna! Io veggo tutti
L’uno all’altro nel volto stupefatti
I giudici guardarsi.
Cromwell.                                   Attestan tutti
Il mio asserire.
Alfredo.[1]                              E soffrirem?...
Altro Giud.[2]                                                       Non vedi
Che volute da Arrigo arti son queste?
Alfredo.Io....
Il sud. Giud.          Reprimi il tuo sdegno, o sei perduto.
Moro. Possibile non è. L’amico mio
Tu calunnii, Cromwello.
Cromwell.                                                  Oblii qual loco
Venerando sia questo.
Moro.                                             Il labbro mai
De’ giudicanti non mentíavi un giorno,
E se mentito alcun v’avesse, a lui
Punitrice tremenda era la legge.
Ma più non son que’ tempi. Ognun qui veggio
Dell’udita calunnia vergognarsi,
E niuno alzar la voce osa a smentirla.
E pure, in questo compro parlamento
Di cui Britannia arrossirà in futuro,
Siede più d’un, che a’ giorni miei godea
D’integerrimo fama. Ahi, la paura
Cotanto dunque su’ mortali puote?
Cromwell.Scampato dal patibolo, il pentito
Vegliardo supplicò, ch’a te il suo esempio
Recato fosse, onde te pure alfine
Induca a obbedïenza.
Moro.Obbedïenza!

  1. Sottovoce.
  2. Come sopra.
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