Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
atto quarto. — sc. III. | 421 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:426|3|0]]
Nemici mi son tutti), abbiti vive
Grazie da me, o vegliardo. E nondimeno
Sparmia inutile sforzo, e volgi a sforzo
Più grande ancor tuoi non corrotti spirti.
Dichiara che, se indotto eri a consenso
Di furibonde leggi, adulatrici
Verso un monarca traviato, e false
In lor promessa di riforma, or gli occhi
Sei costretto ad aprir. Non ti sgomenti
La morte sovrastante a’ generosi.
Cromwell.Quai baldanzosi detti!
Alfredo. Il suo linguaggio
Nè me rimove da’ principii miei,
Nè voi debbe irritar. Sincero ei parla....
Cromwell.Basta: con arti d’eloquenza il senno
De’ giudici sviar non è concesso.
Alfredo.Deh!
Cromwell. Basta: raccogliamci allo scrutinio.[1]
SCENA IV.
MORO e l’Usciere.
Moro.[2]La sentenza di morte è indubitata:
Aspettiamla con forza.— [3] Odi, ten prego....
Qui soli siamo.... È ver che il condannato
Vescovo amico mio, vicino a morte,
Siasi avvilito?... Non temer: siam soli.
Usciere.Signor.... Non mi tradite.... Il vostro amico
Intrepido morì.
Moro. Dio ti rimerti
Di questa nobil carità; più lieto
Trarrò alla tomba. — E tu, sublime spirto,
Che a me dal Ciel le care braccia stendi,
Perdona se un istante alla calunnia