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atto quinto. — sc. II. 427

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Insazïata su lui tenni sempre,
Ed abbastanza nol mirai! Raccorre
Tutte vogl’io le sue sacre parole!
Privar me figlia sua, me d’una pure
Di sue parole estreme, o scellerati,
È inaudita barbarie! Io son la prima
Delle figliuole sue, quella cui volse
Più lunghe cure! Alma non v’era al mondo
Che il conoscesse siccom’io; che tanto
Lo riverisse e amasse! Ed egli amava
La maggior figlia sua, come colei
Che più intendealo e più bisogno avea
D’esser con lui!
1° Cittad.                          Chi mai di filïale
Amor con tanta tenerezza espresse
I sacri sensi?
Margher.                     Ah! voi con me piangete,
E inesorabilmente al padre mio
Mi volete involar! Qui vo’ fermarmi,
Qui sulla via del suo fero supplizio
Il vo’ aspettar! Vostra pietà è codardo
Ufficio ch’io disprezzo e maledico.
No! altrove più non mi trarrete. Io voglio
Rivederlo, o morir!
3° Cittad.[1]                                    Quando svenuta
Un istante ti vide, a noi commise
Il padre tuo di ricondurti al tetto
Della misera madre.
Margher.                                    Il duro cenno
Di staccarmi da lui, no, non vi diede
Il padre mio. Qual di sua figlia amata
Siasi il coraggio ei sa, qual sia l’immenso
Uopo ch’ell’ ha di stargli ancora a fianco.
Riedere a lui, deh! mi lasciate.
3° Cittad.                                                   In questi
Ultimi sacri istanti suoi tuo padre
Ha di pace mestieri.

  1. Uno dei due che la sostengono.
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