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atto quinto. — sc. VI, ultima. | 433 |
[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:438|3|0]]
Da’suoi nemici denigrata, è quella
Che veritiera a’ guardi miei rifulge;
E dover mio giurar ch’empie riforme
Reputo quelle tutte, a cui suggello
Sono calunnie, e orrende stragi, e scherno
D’ogni dritto civil. Da vergognose
Sfrenate passïoni Arrigo ottavo
È traviato. Lo compiango, e giorni
Di pentimento gli auguro e di pace;
Ma obbedirgli non posso.
Alfredo. E colla vista
Del palco innanzi a te....
Moro. La regia grazia,
Pria di peccar contro il mio Dio, rigetto.
Alfredo.Oh forte!
Margher. Amato padre, i figli tuoi
Ti piangon disperati, e d’esser figli
Vieppiù si glorian di tant’uom!
Cromwell. La grazia
Ei rigettò: la morte sua s’adempia!
Moro.[1]Da valorosi separiamci. Addio!
Margher.Padre! — Ahi, da me l’hanno strappato! Io manco.
Moro.— Cromwell, un detto.
Cromwell. Che?
Moro. Tu esulti.... Trema!
Me su quel palco seguiranno in breve
La troppo sventurata Anna.... e Cromwello![2]
SCENA ULTIMA.
I precedenti, eccettuati i partiti.
Cromwell.Il ciel disperda l’empio vaticinio!
Ma qual terrore ineluttabil mise
Nell’alma mia!
Alfredo. Quell’innocente è giunto
Al fatal loco. — Egli la scala ascende.