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48 eufemio di messina.

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Ma la voce di Dio vaga de’ santi
Chiostri mi fa. M’opposi io molti giorni,
Ma alfin pugnar contro il Signor non volli.
In quel tempio,[1] onde là sorge la torre,
Vive, di te, de’ tuoi misfatti ignara.
Eufemio. Conscia dell’amor mio vive. Gemente
Su quegli altari al ciel volge sue preci,
Ed a me il core.
Teodoro.                                   I voti suoi tremendi
Jer Lodovica proferì. Di santo
Zel tutta ardea: «Figlia, le dissi, ah torna
Alle gioje del mondo!» Auree a’ suoi piedi
Vesti e gemme splendeano. Invan lo stato
Di regina le pinsi, e la materna
Dolcezza in abbracciar figli adorati:
Con alto sdegno calpestò le pompe,
Afferrò il sacro vel, tutta sen cinse,
E prona al suol (quasi in funereo drappo
Esangue spoglia) lungamente tacque.
Indi l’udii che il ciel per me pregava....
Pel padre suo, misera figlia!... e morte,
Onde più Dio non oltraggiar, chiedeva.
Eufemio. Di superstizïone ebro, tu lieto
Dalle rose d’imen sotto il funebre
Drappo sottrarsi la vedevi. Io intendo,
Io di quell’innocente alma le grida
Nel profanato santuario. Il cielo
Deprecava essa pel più reo de’ padri
Che i di lei giorni avvelenò; fuggiva
Dal suo tiranno perdonando, e morte
Chiedea, morte che bene unico avanza
A chi d’amor disperato arde e tace.
Misera! no, tu non cadrai su l’are
D’un Dio geloso, che a natura involi
Tua giovinezza, tua beltà, tua pura,
Di cor nato ad amar tempra celeste;
Mia sarai, Lodovica!

  1. Additando nella città.
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