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50 eufemio di messina.

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Tenuto sia: raccòr mie schiere io deggio.[1]
Teodoro. Agli occhi miei creder poss’io? D’incanto
Opra non è? Mio vincitor colui!
Di me che fia? di Lodovica? Oh cielo,
Salva il popolo tuo; basti a placarti,
Se irato sei, di Teödoro il sangue.[2]


ATTO SECONDO.

SCENA I.

ALMANZOR ritorna dalla città. EUFEMIO gli move incontro ansiosamente. Saracini in distanza.

Eufemio. Solo ne riedi? Entro Messina a lungo
Stesti: e nulla ottenevi? Ah! debolmente
Parlasti. Amici non vi son. Me stesso,
Me tonar oda la città, e s’atterri.[3]
Almanzor.[4]Dove? t’arresta. All’amistà mia vibri
Indegno oltraggio.
Eufemio.                                             Lodovica adoro:
Dalla sacerdotal fera possanza
Trarla vogl’io....
Almanzor.                                        Te perderai con essa;
Trucidato sarai.
Eufemio.                                        Pur ch’io la vegga;
E, se non vita, morte io con lei m’abbia.
Almanzor.Un traditor dunque seguimmo. Ai figli
Del deserto ove sono i destinati
Regni, a cui ne chiamasti? Io d’un antico
Illustre genitor la venerata

  1. Parte, facondo cenno colla spada ai Saracini d’ordinarsi intorno a lui.
  2. È condotto via.
  3. S’avvia verso Messina.
  4. Fermandolo.
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