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56 eufemio di messina.

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Il petto lacerar.
Eufemio.                                   Oh atroci sensi!
Oh snaturato genitor! — Vergogna
Del mio indugio mi prende. A me dinanzi
Nella polve ti atterra.
Teodoro.                                        Io nella polve
Dinanzi a un traditor?
Eufemio.[1]                                        Sì: le ginocchia
A forza pieghi il temerario; e voli
Tronca a’ miei piè la testa sua.
Teodoro.[2]                                                  M’atterro....
Ma innanzi a Dio, non a te, no. — Perdona,
O Re del cielo, al servo tuo che l’orme
D’iniquità spesso calcò: strappato
Un serto m’hai, ch’io non mertava: indegno
Son di morir nel mio tetto paterno
Co’ sacri doni ultimi tuoi: mia spoglia
Non fia di pianto filïal bagnata....
A tua giustizia mi rassegno, e piango —
Non del morir.... ma de’ miei falli.[3]
Eufemio.[4]                                                            Oh vista!
Bianco vessillo inalberar si scorge
Sovra le mura: che mai fia?
Almanzor.                                                  Si schiude
Di Messina la porta.


SCENA III.

LODOVICA dalla porta della città, chb tosto si richiude, e detti.

Eufemio.[5]                                        Ah! non traveggo?
Velata n’esce una fanciulla? — È dessa! —
Il piè mi manca. — Deh, Almanzor, sostiemmi!..

  1. Ai Saracini che circondano Teodoro
  2. Strascinato dai Saracini s’inginocchia.
  3. Un Saracino sta colla scimitarra sguainata aspettando il cenno d’Eufemio.
  4. Guardando le mura della città.
  5. Potendo appena respirare dalla sorpresa e dalla gioja.
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