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64 | eufemio di messina. |
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Ch’allor caduto Eufemio sia. Sconvolte,
Dopo estinto Oloferne, ivan sue turbe:
Così alla fuga i Saracini, o preda
A’ nostri brandi, si daran. Ma guai,
Se non adempi il dover tuo: perduta
Sarà Messina; de’ suoi prodi il nerbo
Qui sparirà; qui, te imprecando, il padre
Tra i disperati aneliti supremi....
No: il mio furor già si trasfonde, il veggio,
Nel pio tuo cor. Religïon t’infiammi,
Religïon che le fanciulle adegua
Ai fortissimi eroi; ch’unica sparge
Di prodigi la terra, onde anzi morte
Concittadino l’uom quasi è del cielo.
Lodovica. Vibrato il colpo.... oh ciel!... di me che fia?
Teodoro. Martire illustre, i Saracini.... Ahi lasso!
No, le tenebre aspetta: uscía del campo
Giuditta, e salva il tempio suo rivide.
Lodovica. Ciò impossibil mi fora: al nuzïale
Rito Eufemio m’attende. Ah, s’io ’l rimiro,
Più forza non avrò.
Teodoro. Vederlo dunque
E trucidarlo sia un istante. Addio:
Stringe il tempo. Morir sappi; sei figlia
Di re, d’Iddio sposa tu sei.... La salma
Tua cercherò, misero padre... e teco
Scenderò nella tomba. Iddio perdoni
A questo pianto: ella è mia figlia.[1]
SCENA III.
ALMANZOR e detti.
Almanzor.[2] Stanco
Dell’indugio è il sultan. Qui la partenza
Ad affrettar del padre tuo m’invia.