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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Tragedie (Pellico).djvu{{padleft:98|3|0]]
Ondeggia.... Ah, forse uopo ha d’aiuto. Ei sembra
Misero.[1] D’Azaria l’ospital tetto,
Ecco, o stranier. Lontan da Engaddi è il prode;
Ma il suo pan, la sua tazza al peregrino
Ei vuol comuni sempre.[2] — Un fedel servo
Che ti dia stanza io chiamerò.
Eleazaro. La figlia....
Cerco.... d'Eleazar.... Ferma.
Ester.[3] Son io.
Qual voce!
Eleazaro. Meco, deh, t’apparta! Arcane
Cose degg’ io....
Ester.[4] No; non m’inganno! Desso,
O l'angiol sei del genitor mio estinto?
Eleazaro.Ester! Oh gioia! E in te memoria è ancora
Del sembiante paterno?
Ester. Ei vivo! Il padre!
Oh me felice! E come?
Eleazaro.[5] A’ servi tuoi
Mostrarmi non poss’io. Tu il sai; proscritto
A morte io son. Nè per me temo io morte:
Ad evitarla sol pietà m’astringe
Dell' egra tua canuta genitrice,
Cui là, sui gioghi più deserti, è asilo
La caverna di Davide.
Ester. Oh compiuta
Celeste grazia! Anco la madre è in vita!
Ma sola, egra! A lei tosto.... Oh non sperato
Prodigio mai! Fuori di me son. Deh, lascia
Che questo amato capo Ester di baci
Copra! Che in lunghi amplessi io de' tant’anni
Ch’ orfana piansi mi ristori. Estinto
Diceanti, sì; degli empi idoli all’are
Estinto colla madre. — Albeggia.... in loco