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ossequïosa al rito, e d’Erittònio
nato dal suol. Ché Pallade a costui
due serpi accompagnò, che custodissero
il corpicciuolo, e alle vergini figlie
d’Aglàuro l’affidò: quindi il costume
che gli Erettídi5 i pargoletti crescono
fra serpi d’oro a sbalzo. E quanti aveva
la fanciulla gioielli, accanto al bimbo
che a morte sacro ella credeva, pose.
Ma Febo mio germano mi pregò:
«Muovi, fratello, al popolo aborigeno
della celebre Atene, la città,
che ben conosci, della Diva, il pargolo
prendi, or mo’ nato, dalla cava rupe,
col cestello e le fasce ond’è ravvolto,
e all’oracolo mio portalo, a Delfo,
del tempio mio sopra la soglia ponilo.
Al resto io penserò: però che il pargolo,
sappilo, è mio». Non rifiutai tal grazia
al Nume ambiguo, al fratel mio. Raccolsi
l’intrecciato cestello, e lo portai,
e il fanciullo posai sopra i gradini
di questo tempio, del canestro aprendo
il curvo grembo, ché visibil fosse
il pargoletto. Or, giunse, insieme al disco
del galoppante sol, la profetessa,
per entrare nel tempio, e gittò gli occhi
sopra il pargolo infante, e sbigottí
che ardito avesse il suo furtivo parto
recar del Dio nella dimora qualche
giovinetta di Delfo; ed a gittarlo
fuor del sacrario s’apprestava, quando
pietà rattenne la crudezza; e il Dio

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