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gingillino. 213

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Occhio alla servitù venale e scaltra;
  Ungi la rota, e tienti sull’avviso
  Di non urtarla; una man lava l’altra,
  Suol dirsi, e tutte e due lavano il viso:
  Nel mondo va giocato a giova giova,
  E specialmente se gatta ci cova.

Sempre e poi sempre un pubblico padrone
  Ha un servitore più padron di lui,
  Che suol fare alla roba del padrone
  Come a quella di tutti ha fatto lui;[1]
  Se l’amico avrà il suo, con questo poi
  Sii pane e cacio, e datevi del voi.

Se mai nasce uno scandalo, un diverbio,
  Un tafferuglio in quella casa là,
  Acqua in bocca, e rammentati il proverbio:
  Molto sa chi non sa, se tacer sa;
  A volte, in casa propria, un Consigliere
  Pare una bestia, ma non s’ha a sapere.

In quanto a lodi poi, tira pur via;
  Incensa per diritto e per traverso;
  Loda l’ingegno, loda la mattia,
  Loda l’imprese, loda il tempo perso:
  Quand’anco non vi sia capo nè coda,
  Loda, torna a lodare, e poi riloda.

Pesca una dote e ridi del decoro
  (Della virtù, si sa, non ne discorro);
  Che se piacesse all’Eccellenze loro
  D’appiccicarti un canchero, un camorro,
  Purchè ti sia la pillola dorata,
  Beccala e non badare alla facciata.

  1. Idiotismo non in grazia della rima, ma del dialogo.
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