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avevamo concepito d’un fiume sotterraneo, e non piuttosto si fosse il vero, e perenne fiume trovato. Pareva che non si potesse scendere più oltre, così ripidi ed alti erano i fianchi del Ponte. Questa difficoltà non ci trattenne però; noi ci calammo ad uno ad uno giù pel sasso, che sporge in fuori rendendo più difficile la discesa, e ci posimo in istato di proseguire le indagini. Il marmo, su del quale ci trovammo, è di quel precisamente medesimo impasto, che forma la base della Liburnia, e dell’Isole aggiacentivi, del quale ò fatto incidere un esemplare nelle mie Osservazioni sopra l’Isola di Cherso ed Osero[1]. Que’ corpi tubulosi, osteomorfi, cangiati in spato calcareo, resistono colaggiù precisamente come fanno sul lido del mare all’erosione dell’acque, piucchè non fa il cemento petroso, che gli unisce, e quindi sono assai prominenti. Fecimo pochi passi, scendendo alquanto pella schiena di quello strato inclinato, che c’incontrammo in parecchi laghetti, e pozzi. Egli è manifesto, che questi si sono aperti nello strato medesimo per isprofondamenti cagionati dal gran volume delle acque superiori, che non aveano sfogo, e che, nel tempo dello squagliamento delle nevi, deggiono aver fatto violenza da tutti i lati in quelle Caverne per agevolarsi l’uscita. Questi pozzi ci fecero intendere che noi stavamo su d’una volta, e che sotto di essa tutto era occupato dall’acqua; gli orli loro marmorei non mostravano in quel baratro grossezza maggiore di due piedi, ch’è la solita de’ corsi di quell’impasto, anche su le sponde del Quar-
- ↑ Saggio d’Osservazioni su l’Isola di Cherso, ed Osero. Ven. 1771. Fig. I. pag. 106.