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preposto, che è governatore di tutte le cose spirituali e temporali".

Questa terza parte dell’opuscolo di Dante, che entra nella gran disputa della supremazia delle due potenze temporale e spirituale, è quella che trasse, come vedremo, la condanna non solo pronunziata contro il libro, ma pur tentata contra la memoria e le ossa di Dante; e più tardi poi, su questo libro e sulla lettera ad Arrigo, nuove censure ecclesiastiche. Forse una proposizione[1] contro i decretalisti, che sembra dirigersi contro la tradizione in generale, parve anche più pericolosa. Ma il nostro assunto è più delle evidenti eresie politiche di Dante, che non di quelle religiose di esso. Le quali, poi, qualunque abbiano potuto sfuggirgli, gioverà rinnovar qui, rinforzate dai testi stessi della Monarchia, le proteste nostre contro quei tentativi di far Dante quasi precursore de’ riformatori che straziarono l’unità cattolica nei due secoli seguenti; Dante, così vago dell’unità, da volerla vanamente estendere dalle cose divine alle umane; Dante, che vedemmo pur testè

  1. §13,p.LXXVIII.
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