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e nel 95 re Ladislao donava alla università d’Aquila, che gli si era dedicata, annuam provisionem unciarum CC de carlenis argenti, ponderis generalis[1]. Era invece effettivo il fiorino o ducato d’oro delle repubbliche di Firenze e di Venezia, del cui primitivo valore abbiamo notizia in Buccio Ranallo:
- Dudici boni carlini per uno fiorino contato[2]:
Vendeasi nella carestia del 1340 un fiorino la coppa di grano[3], e nell’abbondanza del 47 poteasi avere un bove od un somarello allo stesso prezzo[4]. Nel 1375, equivalendo già da settant’anni, come nel primo capitolo ho avvertito, il fiorino o il ducato, non più a 12, ma a 10 carlini, stante il costoro aumento di peso, leggiamo nella cronaca di Nicolò di Borbona una oncia che so’ sei ducati d’oro[5]; e nel rescritto di Renato de’ 5 settembre 1438 agli aquilani: bonos ducatos auri vel carolenorum ad rationem de carolenis decem pro quolibet ducato[6].
In argento, la maggior moneta era il carlino o gigliato, duodecima o decima parte del fiorino, secondo i tempi. Una coppa d’orzo nello stremo di vettovaglia del 1340 vendevasi sei carlini[7]; e nella pestilenza del 48
Chi comparava guardia per esser ajutati
Lu di et la notte la femina petea tre gillati.[8]
Vedremo nel 1433 ordinarsi da Giovanna II al comune d’Aquila lo stampo dei mezzi carlini, detti anche mezzanini, e dei quartaroli o quarti di carlino.
Nei cronisti aquilani è altresì menzione dei soldi. Nel 1340
- Quinnici solli vedea che se vendea la brenda[9];
- ↑ Muratori, Ant. Ital. VI, 859.
- ↑ O. c. 542, st. 86.
- ↑ O. c. 603, st. 480.
- ↑ O. c. 631, st. 696.
- ↑ Nicolò di Borbona, Cronaca delle cose dell’Aquila, in Murat. Ant. Ital. VI, n. X.
- ↑ Muratori, Ant. Ital. VI, 559.
- ↑ Buccio Ranallo, o. c. 603 st. 480.
- ↑ Id. ibid. 643, st. 794.
- ↑ Id. ibid. 603, st. 481. Brenda, crusca.