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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Zecche e monete degli Abruzzi.djvu{{padleft:72|3|0]]Annibale di Varano: Fiat secundum privilegia, non obstantibus aliis in contrarium impetratis[1].

Morto però Ferdinando II il dì 7 del seguente ottobre, e succedutogli lo zio Federico, tra i capitoli che gli presentarono gli aquilani il 10 dicembre dell’anno stesso, nel suo campo in Traetto, uno ve n’ebbe pure concepito nei medesimi termini di quello accordato il 13 settembre, riguardante il riaprimento della zecca, al quale il re rescrisse: Placet regiae majestati[2]; ed insistevano in pari tempo sul non meno importante oggetto delle monete di conio francese.

Tanta era la massa circolante del rame di Carlo VIII che, unito a quello già emesso da Ferdinando I, si trovò per tal modo sufficiente ai bisogni, che Ferdinando II s’era astenuto dall’improntare verun pezzo di quel metallo colla propria effigie, se n’eccettui la moneta occasionale col mollo Brundusina fidelitas, che in tenue quantità d’esemplari dev’essere uscita, se lice giudicarne dall’attuale loro scarsezza. Ma sotto il costui governo, come pure durante quello di Federico, che riprese l’abbandonato stampo del rame, si ripercosse non iscarso numero di cavalli di Carlo coi vecchi conii di Ferdinando I, altri col nuovo di Federico, operazione che riuscì a tal segno imperfetta, che le monete superstiti lasciano tuttavia l’una e l’altra impronta quasi alla stessa guisa confusamente discernere. Questa riconiazione reputo eseguita nella sola zecca di Napoli, perciocchè non mi sovviene di aver mai trovato cavalli di Carlo ristampati coi conii di Ferdinando I che portano il segno della aquiletta; e quindi mi giova ritenere chiusa la zecca d’Aquila dopo il ritorno degli aragonesi, ad onta delle regie concessioni ottenute, e rimasta inoperosa durante i regni del figliuolo e del fratello di Alfonso II.


Succeduto frattanto a Carlo VIII, il 1498, nel governo di Francia, e nelle pretensioni sopra il reame di Napoli, Lodovico

  1. Regia munificentia, p. 264 e 265.
  2. Ivi, p. 277 e 278.
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