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[[Categoria:Pagine che usano RigaIntestazione|Zecche e monete degli Abruzzi.djvu{{padleft:73|3|0]]XII d’Orleans, ben seppe egli farle valere ai danni di Federico, prima coi trattati conchiusi col re cattolico, e poscia colle armi. Costretto Federico a cedere al re francese, mutando il regno di Napoli, spartito tra Francia e Spagna, nel ducato di Angiò, Lodovico XII, che signoreggiava Terra di Lavoro ed Abruzzo, riapri le zecche di Napoli e d’Aquila; ma, se nella prima battè monete in ogni metallo, nella seconda ne fece solo di rame, non conoscendosi che il sestino aquilano, riportato al n. 27 della terza tavola:

D. lvdo.fran.regniq.neap.r. Croce ricrociata e gigliata, leggenda preceduta da un’aquiletta.

R. popvli.comoditas. Arme di Francia, epigrafe interrotta da un’aquiletta alla punta dello scudo.

Riuniti finalmente, dopo più anni di contese e di guerra, i regni di Napoli e di Sicilia sotto il potente scettro di Carlo V, che governava in nome proprio e della madre sua Giovanna, egli accordò agli aquilani il riaprimento della loro zecca, mediante diploma de’ 30 aprile 1520, nei termini che seguono: Habeatque dicta civitas facultatem cudendi monetas cum insigniis et imaginibus nostris, aereas argenteas et aureas, prout eidem placuerit, meliusque et commodius visum fuerit[1]. Sennonchè, di questo diritto Aquila non si valse; e perciò quella officina, ch’ebbe più lunga durata di ogni altra abruzzese, deve ritenersi cessata col duodecimo Lodovico di Francia.




  1. Regia munificentia, p. 290.
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