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Un grande trionfo ha riportato in questi giorni la causa della Nazionalità. Il frazionamento imposto prima dallo straniero, fomentato con vigile cura dal Papato; mantenuto dopo dalle tirannidi interne, lo spirito municipale che si predica da molti, terribile elemento di dissoluzione in Italia, la resistenza dei governi che sentono vacillare i loro troni trascinati da questa tendenza unitaria, sono o fantasmi che non esistono invocati da chi vorrebbe farne suo prò, o deboli argini a questo bisogno d’un popolo che dopo tanti anni di servaggio si è sentito i piedi liberi, e si alza e chiede di essere anch’egli una nazione.
L’unità morale dell’Italia, è un fatto compiuto. Di questa idea s’impronta ogni moto d’ogni angolo d’Italia. Pochi mesi sono il Popolo insorgeva in Livorno e fra le barricate sparse del suo sangue gridava «Costituente Italiana»; quel grido suonava fra le fucilate in Genova; fu violata sin la capitale del Re di Piemonte, sino il Quirinale del Papa.
E allora per la prima volta si vide una parte d’Italia totalmente libera. Grave e decisiva influenza aveva ogni suo fatto non solo pel risultato pratico, ma perché rappresentava il vero concetto del Popolo Italiano. Ogni partito avea sino allora agito nel suo nome, però la prima parola che gli sgorgava spontanea dal cuore costituiva un solenne giudizio. E questa parola noi l’abbiamo udita.
Egli ha proclamata la sovranità popolare. Egli ha proclamata la Nazionalità dell’Italia.
Anzi colla logica delle rivoluzioni, comprese che questi due termini non poteano disgiungersi, che frutto della tirannide era la divisione, e frutto della divisione era la tirannide. La bandiera dei principi è quella del loro principio, la bandiera del Popolo è quella della Nazione.
La Costituente Romana e la Nazionale non formeranno che una cosa sola.
Ogni Italiano saluta con gioia l’atto della Commissione Governativa, per cui questa sublime idea è divenuta un fatto compiuto. Ora resta che si provveda ai mezzi per cui questa vittoria d’un principio morale sia circondata e assicurata da forze materiali. Resta che gli uomini i quali hanno cooperato al grande edificio, tolgano il fucile e proteggano l’opera loro colle mura di Sparta, col petto e col braccio de’ cittadini.
La Costituente è la Nazione deliberante, bisogna organízzarle a fianco la Nazione armata.
«Costituente e Guerra», due termini che non possono dividersi. Perché combatta, conviene che la nazione esista, perché esista conviene che combatta.
Questa, verità fu sentita in Toscana; alla proclamazione della Costituente teneva subito dietro l’istituzione dell’armata. E tal lavoro è ora il debito precipuo di coloro i quali reggono le provincie Romane.
Se gravi sono tra noi i bisogni a tal proposito, molti sono nello stesso tempo i buoni elementi da cui si può trar partito. E noi siamo lieti di riconoscere che il governo ha già tentati alcuni passi in questa via.
Il Generale Garibaldi colla sua prode legione potrà avere molta influenza sui fatti che sono per accadere, costituendo un nucleo di volontari che al momento dell’azione darebbe centro ed ordinamento a questo importante elemento militare.
Intanto altri volontari, provati anch’essi al fuoco, tutti del paese, ritornano da Venezia, e con un mirabile e raro esempio di virtú cittadine, resistono alla tentazione che offre dopo lunga lontananza la patria, e restano sotto le insegne militari, non solo, ma all’avvicinarsi del pericolo, sentendo la necessità di afforzarsi di una piú vigorosa disciplina, si ordinano spontanei in truppa regolare. Essi sono capitanati dal General Ferrari, sicché il nome del capo, il valore e la devozione alla patria dei soldati ci affidano della molta speranza che può in loro riporre il paese.
Altra ottima disposizione fu quella di organizzare tosto militarmente i giovani profughi del Lombardo-Veneto, che a rischio della vita fuggono a turbe la divisa austriaca, e vengono mendicando presso i loro fratelli pane ed armi per vivere e combattere.
Tali soldati, che come disertori, non possono sperare di esser considerati quali prigionieri di guerra, son gente che sa di dover vincere o morire al suo posto.
Nello stesso tempo – e questo a nobile richiesta delle stesse provincie – fu diramato ordine di mobilizzare la Guardia Nazionale. Il Popolo che domanda in massa di avere il suo posto al fuoco nel caso si abbia a difendere la rivoluzione contro la reazione e lo straniero, mostra quanto, e come in modo veramente Romano, si ami la libertà tra noi.
Conviene sperare che questa opera di cosí vitale importanza acquisti tutto il necessario ordinamento ed estensione. Finora la Guardia Nazionale non rappresenta che, direi cosí, tanti corpi staccati quante sono le città o villaggi: si scorge a prima vista quali inconvenienti ciò produrrebbe in caso di un generale mobilizzamento, mentre l’accentrarla e il farne un’armata sarebbe cosa difficile nel momento del pericolo, e ne renderebbe piú lenta e meno vantaggiosa l’azione; per provvedere a tal uopo dovrebbe istituirsi una commissione centrale di organizzazione, e mobilizzazione della Guardia Nazionale, la quale preparasse quell’ordine, con cui dovrebbe questa milizia disporsi in campagna.
Tal commissione dovrebbe anche occuparsi di estendere maggiormente l’istituzione della Guardia Nazionale, chiamando a tale servizio tutti i cittadini, mentre ora non ne fa parte che una frazione; nello stesso tempo essa dividerebbe proporzionatamente tra i municipii ed i comuni le spese che a ciò si richieggono massimamente per la compra delle armi, risparmiando cosi l’erario, che sarà chiamato a grandi sforzi per provvedere a porre in istato di guerra l’armata regolare.
L’armata ha bisogno di gran numero di fucili per armare principalmente le nuove reclute; manca di materiale pel trasporto dell’artiglieria, di magazzini di abbigliamento, buffetteria, ecc. e ciò non solo: ma anche di ciò che si ha, non, sempre si potrebbe usare in caso di bisogno, e questo per difetto di organizzazione. L’esercito va messo sul piede di guerra ordinandolo in brigate e in divisioni, convien creare un generale in capo, ed un generale ispettore che percorra le brigate e le divisioni per purgare l’armata dai cattivi e dagli inetti. E nella necessità che abbiamo osservata di un generale, l’anima nostra ricorre naturalmente al nome del difensore dello Stelvio, il Generale D’Apice. Egli è tra quei pochissimi che hanno rifiutato di comprare il grado di Generale in Piemonte, capitolando, che hanno amato meglio la povera bandiera della libertà, che la ricca viltà d’un Re.
Noi non abbiamo inteso che accennare sommariamente questo grande argomento; di ciò dovrebbe principalmente occuparsi l’attività dei circoli e della stampa. Il Governo e il Popolo debbono sentire quali doveri imponga la via in cui si son posti, ché il levare la bandiera italiana, e non saperla difendere sarebbe un sacrilegio, ché la debolezza darebbe audacia all’esitante diplomazia.
Proclamata la Costituente convien provvedere alla Guerra, giacché ripetiamo: «Guerra e Costituente» sono termini, inseparabili.