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Il denaro dei poveri.
È con un sospiro di benigna invidia che noi, italiani di quaggiù, vediamo ascendere prodigiosamente la cifra delle pubbliche sottoscrizioni, a Milano: è con un rinnovato senso di ammirazione che il nostro animo saluta la generosità, anzi la magnificenza degli italiani di lassù, di questi grandi nostri fratelli milanesi, che hanno saputo e sanno fare due cose, estremamente difficili e, forse, più difficile la seconda che la prima: arricchirsi e spendere splendidamente la loro dovizie. Non è da oggi, solamente, che tanta munificenza signorile milanese, viene a rendere più saldo il vincolo della razza italica e della patria, fra noi e loro: ma tutti quelli che hanno sofferto in Calabria e a Messina, tutti quelli che hanno sofferto per l’eruzione del Vesuvio, e, adesso, pel terremoto della Marsica, sanno quante lacrime loro, sono state asciugate dalla tenera opera milanese, sanno di dovere la casa e’ il lavoro e la dignità della vita, al fraterno soccorso milanese. Per la guerra, Milano ha già sottoscritto tre milioni: ma se è pur vero ed è inobliabile, che le sue Cinque Giornate dovevano esaltare, in ogni ceto, il sentimento della giusta rivincita contro l’Austria, è anche vero che Milano, dalla guerra europea non ha raccolto che gravi danni economici e che, ora, dalla nostra guerra, essa sentirà più profonda la scossa nella sua fortuna. E che importa? Milano è dotata di una inestimabile virtù, che è l’orgoglio: orgoglio sano, orgoglio schietto, orgoglio di grande qualità, orgoglio che fa compire le più nobili azioni, orgoglio che fa raggiungere certe altitudini morali che nessun’altra virtù morale può ispirare. È il suo orgoglio, per Milano, sopportare lutti i mali che la guerra seco conduce, senza avvilirsi, senza lagnarsi, reagendo, anzi, contro ogni depressione morale: è il suo orgoglio, per Milano, di obbedire a un impetuoso e superbo moto di altruismo, dando ogni sua opera, dando ogni suo maggior denaro, perchè gli oscuri, perchè i miseri, perchè coloro che hanno visto «partire qualcuno», ed era colui che meglio amavano, fossero soccorsi, nello spirito e nel corpo: è il suo orgoglio, per Milano, essere all’estrema avanguardia di questa vasta ed efficace opera sociale, per lenire i dolori che la guerra infligga, fatalmente, a centinaia di migliaia di creature innocenti: è il suo orgoglio, per Milano, essere il più limpido e splendido esempio, per tutte le altre città italiane. Noi amiamo quest’orgoglio: noi lo benediciamo....
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Napoli è povera di denaro. Vi sono, è vero, nella città nostra, molti ricchi e fra loro, alcuni che hanno grandi ricchezze: ma essi sono dei ricchi ingenerosi, sono dei ricchi sordidi, sono dei cattivi ricchi. Se volessi giuocar loro un brutto scherzo, potrei citare da cento a dugento nomi, di persone che potrebbero, senza spostare il loro bilancio, dare alle pubbliche sottoscrizioni, ognuno di essi, da cinque a diecimila lire, formando un milione, o un milione e mezzo, solo essi: ma la denunzia mi sembra atto così basso, così infame, che non posso e non debbo proclamare l’avarizia e l’aridità di questi ricchi napoletani. A parte costoro, Napoli nostra è così povera di denaro! La sua fortuna è così instabile che qualunque cosa la tange e la fa vacillare: la sua prosperità è così passeggiera, così fuggevole, che ha, talvolta, la vita di una breve stagione. Durante la guerra europea, due fra i nostri maggiori alberghi, l’Excelsior e il Grand Hôtel, sono rimasti chiusi: altri tre, primarii, antichi, sono falliti: cosa che non è accaduta in nessun’altra città italiana. Appena è scoppiata la guerra nostra, si sono chiusi, in Napoli, tutti i grandi teatri e anche i più piccoli: i cinematografi che erano sempre affollatissimi, sono quasi vuoti, e se vogliono ancora raccogliere un po’ di gente, bisogna che proiettino solamente pellicole patriottiche: le corse dei trams sono diminuite, e a malgrado del caldo che comincia a farsi sentire, spesso si vedono trams riempiti solo per metà o per un terzo: il numero delle carrozzelle è molto diminuito, e per trovarne una disponibile, si debbono fare dei lunghi tratti. Non è che la città abbia l’aria squallida o l’aria triste: ha l’aria di quello che è, l’aria di una città povera, povera di denaro. Non è forse sempre così, quando un evento tragico colpisce la città nostra, terremoto, colera, eruzione, guerra? Come se si soffiasse sopra un castello di carte, la fortuna napoletana crolla: e ancora una volta, ci si accorge come tutto ciò che si è tentato, per renderla prospera, per renderla ricca, tutti questi grandi e anche nobili tentativi di governi, di enti, di magistrati del Comune, sono stati vani! È, forse, una forma della giustizia divina, della equità divina, la quale avendo accordato a Napoli la suprema beltà delle cose, che avendole elargito il dono più prezioso, nel suo cielo sublime, nel suo paesaggio sublime, non voglia permetterle di diventar ricca, trovando che sarebbe troppo favorita, così Napoli? È, forse, una specie di misteriosa impotenza, una misteriosa inettitudine, quella che ha Napoli, di non potersi arricchire? Chi sa!
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Ma quanta immensa ricchezza dispiega Napoli, in questa guerra, quanta ricchezza essa prodiga, dal suo animo generoso, dal suo cuore innumerevole, che tesoro insuperabile essa diffonde, intorno, dalla sua anima che è la più bella di tutte, per la bellezza delle sue virtù! Chi dirà mai, da cronista fedele e commosso, di quanta forza morale dia esempio questa città, nel sopportare ogni tristezza, nel lenire ogni patimento altrui? In ogni classe e, sovra tutto, nella borghesia, e specialmente nella piccola borghesia, e specialissimamente, in questo perfetto popolo napoletano, vi è un fiorire dei sentimenti più soavi e più operosi di bene: vi è una serena pazienza: vi è un umile e profondo senso di adattamento: vi è una rinunzia a ogni piccolo piacere, a ogni piccolo agio, senza rimpianto: vi è una rinunzia al più modesto sogno e al più modico fra i desiderii: e tutto questo senza rimpianto, in un silenzio senza tristezza. Fiorisce, ovunque, e dal popolo risale alla più alta borghesia, quel sentimento di sacrificio al bene altrui, che svolse i suoi miracoli, tante volte, da trent’anni a questa parte, nella città nostra: ed ecco che questo spirito fraterno di carità vibra ovunque, penetra ovunque, e ognuno se ne impregna, e ognuno non solo tenta, non solo cerca di fare il bene, ma giunge a farlo, ma lo fa, semplicemente, schiettamente, con un desiderio sempre crescente di ricominciare, altrove, la propria opera. Dove, dove accade mai che un povero soccorra uno più povero di lui? A Napoli, accade! In qual paese, mai, una madre povera raccoglie il figlio di una sventurata, più povera di lei, che non può nutrirlo? Fra noi, accade. In quale paese, mai, il soccorso di un’amica, di una vicina, di una casigliana, nei rioni più miseri, è sempre pronto, ove la miseria è più nera? In questo nostro paese, accade. Da che la guerra nostra è scoppiata, il mio cuore tremante di emozione ha raccolto episodi di tale gentilezza, di tale pietà, fra le famiglie della piccola borghesia, fra donne del popolo, che io vorrei, vorrei poterli narrare e sono troppi, e la mia penna è debole, e non posso dire nulla, salvo che ammirare, salvo che proclamare queste virtù ineffabili napoletane. Quante lacrime sono state asciugate, sovra un volto umano, da altre creature umane, che pure esse soffrivano, ma che obbliavano le loro sofferenze, per racconsolare le altrui: quanti sgomenti di coloro che si sentivano abbandonati e persi, poichè qualcuno era partito, si son dileguati dinanzi alla parola di ausilio, dinanzi alla promessa di un aiuto, data da chi doveva sacrificarsi, per aiutare, ma che si sacrificava, così, serenamente: quante paure della fame, delle privazioni, sono state vinte da una modesta sicurezza, offerta da chi, offrendo, dava una parte del suo pane e una parte del suo tetto: quante piccole, piccole carità, ma giunte a tempo, ma quotidiane, ma fatte per sostenere i poveri vecchi, i poveri bimbi: quanto tenue sorriso ricondotto sulle pallide labbra, ancora palpitanti di singhiozzi, innanzi alla abnegazione di coloro che, in nome di Dio, padre di tutti, facevano opera fraterna, dividendo quello che possedevano, ora e più tardi! Ah che ricchezza incommensurabile, spende e spande Napoli, ricchezza di bontà ardente e costante, di tenerezza sagace e previdente, di carità discreta e cortese, di protezione amorosa e fedele, che ricchezza senza pari, ora e per quanto la guerra duri, Napoli profonde, Napoli profonderà, come nessun’altra città mai!
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Dopo di che, Napoli darà anche denaro. E, forse, non sarà neanche poco, questo denaro; e, forse, potrà diventare anche molto. Ma sarà, questo denaro, quello della gente piccola: saranno dieci lire, cinque lire, due lire, una lira, due soldi. Sarà il denaro dei poveri: sarà l’obolo dei miseri. Il povero, da noi, come sempre, farà l’elemosina al più povero. E noi ricorderemo ai pietosi e ai crudeli, la parola di Cristo: «È più facile che un elefante passi per la cruna, di un ago, che un ricco entri in Paradiso».
.... 10 luglio 1915.