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Alexander Pope - Pastorali (1709)
Traduzione dall'inglese di Emidio De' Vincenzi (1767)
State
Seconda pastorale
Primavera Autunno

S T A T E


SECONDA PASTORALE




S T A T E.


SECONDA PASTORALE


AL DOTTOR GARTH.


I
L garzon d’un Pastore (ei non domanda

Nome miglior) guidava la sua gregge
     Lungo l’onde d’argento del bel Tami:
     Ove scherzar sull’acque i rai del Sole
     5Vedeansi in danza, e i verdeggianti ontani
     Formar tremule l’ombre. Or qui dolente
     Mentr’egli sfoga l’amorose pene
     Oblian i rivi il corso; e monstran muta
     Pietà le greggi; piangono le Najadi
     10In ogn’umido speco; e Giove ancora
     N’accenna il duol con taciturna pioggia.


Accetta, o Garth i matutini accenti
     Di musa umil, ch’una ghirlanda aggiunge
     D’ellera solo a’ tuoi allori. Ascolta,
     15Che soffran per Amor Cori inesperti,
     Per quell’Amor, mal sol, che tu non sani.

Ombrosi faggi, e voi freschi ruscelli,
     Che da’ raggi di Febo difendete,
     Ma non da quei d’Amor più crudi, e felli;

20A voi io gemo; a voi, che pur non siete
     Sordi al mio duol; risponderanno al pianto
     Le selve, e l’Ecco lor poscia il ripete.

Odon e monti, e rocche il mesto canto;
     Or perchè mai tu d’esser più superba
     25E più cruda di lor ti formi il vanto?


S’accordan colla mia doglienz’acerba
     Le pecore belanti. Elle son’arse
     Del Sol; l’ardor per te me strugg’, e snerba.

L’ardente Sirio brucia le riarse
     30Piànora; mentre regnan nel tuo core
     Eterne brume d’aspro gelo sparse.

O muse! e dove or gite errando fore?
     In qual mai selva, o prat’ora che pene
     Il vostro Alessi soffre in crudo amore?

35Errate forse in quelle vaghe arene,
     Ove l’Iside sagra si diffonde,
     O dove parte il Cam le valli amene?

Quand’io miro il mio viso dalle sponde
     Del cristallino rivo, intorno appare
     40Un bel rossor, che pinge il vel dell’onde:


Ma poi che queste grazie non più care
     Sono alle tue pupille; ho pur fuggito
     Que’ rivi, che sì pria solea cercare.

D’ogni erba, che mai nasce, io son’ perito
     45Nell’arte, e d’ogni pianta, che ’l mattino
     Beve rugiada in sul prato fiorito:

Che giova l’arte tua pastor meschino?
     A guerir i tuoi agnelli? ah che non vale
     Null’a soccorer il tuo Cor tapino!

50Sia pur d’altri pastori la campale
     Cura; che pascan pur più belli armenti,
     O di più ricchi velli abbian l’eguale;

A me sol piace d’intonar gli accenti
     A piè quel monte; far vezzi al mio bene;
     55Cingermi il fronte di bacche lucenti.


Questa sampogna è quella, che le amene
     Aure di Colin già sonavan, quando
     Viveva, e in morte a me lasciò fra pene.

E disse „Alessi, a te la raccomando:
     60Alle selve insegnò della mia Clore
     Questa piva il bel nom, dolce sonando„

Ma appesa oggi sarà colle canore
     Sue canne in quell’abete, e sempre muta,
     Se tu la sprezzi, e tien lontan dal core.

65Ah! foss’io per Poter, che ne trasmuta,
     Quel, che sì canta, prigioniero uccello
     Dentro la tua capanna alta, e fronzuta!

Allor potrebbe di mia voce il bello
     Occupar le tue orecchie sempre intente,
     70Ed io godrei que’ baci, ch’oggi ha quello.


E nondimen alla selvaggia gente
     Piacciono le mie note, e i satirelli
     Danzano al canto, e Pan con plauso il sente.

Lascian le Ninfe gli antri, ed i ruscelli,
     75Recando i loro primaticci frutti,
     E di color di latte i tortorelli;

I proprj doni preferire a tutti
     Ogni Ninfa, che m’ama, in van procura,
     Se i doni lor a te fon ricondutti.

80Per te de’ più bei fior della natura
     Fan scelta i pastorelli, e in un bel serto
     Tutte le lor beltà legan con cura.

Questa ghirlanda accetta, il di cui merto
     È di te sola; il brio d’ogni beltate,
     85Mirasi in essa riunito, e inserto.


Vedi, quai son delizie in queste amate
     Selvaggie scene! I Dei dal Ciel discesi
     An ritrovate quì sedi beate.

Adone, e Vener da Cupido accesi
     90Errar fra selve. Ancor Diana adorna
     Abita boschi in ombre dense estesi.

Vien, Ninfa bella, e di letizia n’orna
     Le tacit’ore; quand’ogni pastore
     Dal pasturare al notturn’antro torna.

95Quando lascia lo stanco mietitore
     l’adusto campo; ed indi coronato
     Di spighe, a Cerer rende grazia, e onore.

Quest’innocente bosco qui celato
     Non tiene angue verun; sol nel mio petto
     100Il serpente d’amor s’è collocato.


Quì le pecchie dai fior succian l’eletto
     Umor rorante. Il tuo Alessi solo
     Non trova, che in te sola, altro diletto.

Deh! vieni a visitare il nostro polo,
     105Le sedi abbandonate, e le muscose
     Fontane, e gli antri di verdiccio suolo.

Ch’ovunque passi tu, l’aure di rose
     Spirano al tuo passaggio; e gli arboscelii
     Fan ombra a gara, ovunque tu ti pose.

110Ovunque calchi il piè, bei fior novelli
     Sorgon vermigli, ed ogni cosa è in fiore,
     Ove tu giri il brio de’ lumi belli.

Oh! quanto io bramo de’ miei giorni l’ore
     Teco passar; le muse d’invocare;
     115E risonar le laudi tue canore!


Le laudi tue, che s’udiran cantare
     In ogni selva gli augelletti, e i venti
     Fin sovra i Cieli le faran volare.

Ah! Se tu canti ad emular gli accenti
     120Del grand’Orfeo, vedriansi i boschi un giorno
     Di nuovo carolar stupidi, e intenti;

I monti in moto senterian l’adorno
     Potente invito; i rapidi ruscelli,
     Sospeso il corso, ascolterian d’intorno.

125Vedi, come dal caldo i pastorelli
     Fuggon del mezzogiorno, e con muggiti
     Corron gli armenti a questi rivi, e quelli!

Le greggi ansanti van cercando siti
     D’ombre più folte. Cieli! e perchè mai
     130Non fia chi per amor sollievo additi?


O sol tu tosto con più dolci i rai
     Te ne descendi all’Ocean algente,
     Ove del corso tuo la fine avrai;

Me sempre amor di fiere fiamme crucia;
     135Scotta di notte, qual di giorno brucia.



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