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XXX.
MARZO
De memoire de rose on n’a jamais
vu mourir de jardinier.
Sull’infanzia dei germi e delle fronde
Il marzo sbuffa; alle ospitali gronde,
Alle tiepide tane
Fa ogni sbuffo assassino
5Delle speranze dell’april bottino,
E alle rive lontane
Caccia un popol di morti e di feriti.
Son sibili e garriti
E fischïate fesse:
10Fin le tegole anch’esse,
Forse per l’abitudine dei nidi,
Si credon rondinelle e volan via.
Fra le spighe gli steli e gli arboretti
È un lottar di equilibrio e di scambietti
15Per non schiantarsi, agli schiaffi potenti
Opponendo gli inchini e i complimenti.
E una lepida quercia a una rugosa
Sua vicina dicea: ― Monna Ghiandosa,
Rammentate il seicento?
20Fu in maggio, se non erro,
Di quell’annata, la maggior tempesta.
Un mio ganzo, un bel cerro,
Asfissiato morì nel turbinìo,
E noi, bontà di Dio!
25Siam vive e sane, e brille
Toccheremo il duemille! —
E che pensava il fiorellin divelto
Udendo il cicalìo della vegliarda?
Egli che all’alba ancor non era nato
30Morir canuto a sera avea sperato...
Nel fango invece a mezzodì giacea,
E dolorando l’anima rendea.