< Pensieri (Leopardi)
Questo testo è completo.
LXXI LXXIII

LXXII.

Come il giovane è ingannato dal timore in questo, cosí sono ingannati dalla loro speranza quelli che avvedendosi di essere o caduti o abbassati nella stima d’alcuno, tentano di rilevarsi a forza di uffici e di compiacenze che fanno a quello. La stima non è prezzo di ossequi: oltre che essa, non diversa in ciò dall’amicizia, è come un fiore, che pesto una volta gravemente, o appassito, mai piú non ritorna. Però da queste che possiamo dire umiliazioni, non si raccoglie altro frutto che di essere piú disistimato. Vero è che il disprezzo, anche ingiusto, di chicchessia è sií penoso a tollerare, che veggendosene tocchi, pochi sono sí forti che restino immobili, e non si dieno con vari mezzi, per lo piú inutilissimi, a cercare di liberarsene. Ed è vezzo assai comune degli uomini mediocri, di usare alterigia e disdegno cogl’indifferenti e con chi mostra curarsi di loro, e ad un segno o ad un sospetto che abbiano di noncuranza, divenire umili per non soffrirla, e spesso ricorrere ad atti vili. Ma anche per questa ragione il partito da prendere se alcuno mostra disprezzarti, è di ricambiarlo con segni di altrettanto disprezzo o maggiore: perché, secondo ogni verisimiglianza, tu vedrai l’orgoglio di quello cangiarsi in umiltá. Ed in ogni modo non può mancare che quegli non senta dentro tale offensione, e al tempo medesimo tale stima di te che sieno abbastanza a punirlo.

Questa voce è stata pubblicata da Wikisource. Il testo è rilasciato in base alla licenza Creative Commons Attribuzione-Condividi allo stesso modo. Potrebbero essere applicate clausole aggiuntive per i file multimediali.