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LXXXII.
Nessuno diventa uomo innanzi di aver fatto una grande esperienza di sé, la quale rivelando lui a lui medesimo, e determinando l’opinione sua intorno a sé stesso, determina in qualche modo la fortuna e lo stato suo nella vita. A questa grande esperienza, insino alla quale nessuno nel mondo riesce da molto piú che un fanciullo, il vivere antico porgeva materia infinita e pronta: ma oggi il vivere de’ privati è sí povero di casi, e in universale di tal natura che, per mancamento di occasioni, molta parte degli uomini muore avanti all’esperienza ch’io dico, e però bambina poco altrimenti che non nacque. Agli altri il conoscimento e il possesso di sé medesimi suol venire o da bisogni e infortuni, o da qualche passione grande, cioè forte; e per lo piú dall’amore; quando l’amore è gran passione; cosa che non accade in tutti come l’amare. Ma accaduta che sia, o nel principio della vita, come in alcuni, ovvero piú tardi, e dopo altri amori di minore importanza, come pare che occorra piú spesse volte, certo all’uscire di un amor grande e passionato, l’uomo conosce giá mediocremente i suoi simili, fra i quali gli è convenuto aggirarsi con desiderii intensi, e con bisogni gravi e forse non provati innanzi; conosce ab esperto la natura delle passioni, poiché una di loro che arda, infiamma tutte l’altre; conosce la natura e il temperamento proprio; sa la misura delle proprie facoltá e delle proprie forze; e oramai può far giudiziose e quanto gli convenga sperare o disperare di sé, e, per quello che si può intendere del futuro, qual luogo gli sia destinato nel mondo. In fine la vita a’ suoi occhi ha un aspetto nuovo, giá mutata per lui di cosa udita in veduta e d’immaginata in reale; ed egli si sente in mezzo ad essa, forse non piú felice, ma per dir cosí, piú potente di prima, cioè piú atto a far uso di sé e degli altri.