< Pensieri (Leopardi)
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XCVIII C

XCIX.

Le persone non sono ridicole se non quando vogliono parere o essere ciò che non sono. Il povero, l’ignorante, il rustico, il malato, il vecchio, non sono mai ridicoli mentre si contentano di parer tali, e si tengono nei limiti voluti da queste loro qualitá, ma si bene quando il vecchio vuol parer giovane, il malato sano, il povero ricco, l’ignorante vuol fare dell’istruito, il rustico del cittadino. Gli stessi difetti corporali, per gravi che fossero, non desterebbero che un riso passeggero, se l’uomo non si sforzasse di nasconderli, cioè non volesse parere di non averli, che è come dire diverso da quel ch’egli è. Chi osserverá bene, vedrá che i nostri difetti o svantaggi non sono ridicoli essi, ma lo studio che noi ponghiamo per occultarli, e il voler fare come se non li avessimo.

Quelli che per farsi piú amabili affettano un carattere morale diverso dal proprio, errano di gran lunga. Lo sforzo che dopo breve tempo non è possibile a sostenere, che non divenga palese, e l’opposizione del carattere finto al vero, il quale da indi innanzi traspare di continuo, rendono la persona molto piú disamabile e piú spiacevole ch’ella non sarebbe dimostrando francamente e costantemente l’esser suo. Qualunque carattere piú infelice, ha qualche parte non brutta, la quale, per esser vera, mettendola fuori opportunamente, piacerá molto piú, che ogni piú bella qualitá falsa.

E generalmente, il voler essere ciò che non siamo, guasta ogni cosa al mondo: e non per altra causa riesce insopportabile una quantitá di persone che sarebbero amabilissime solo che si contentassero dell’esser loro. Né persone solamente, ma compagnie, anzi popolazioni intere: ed io conosco diverse cittá di provincia còlte e floride, che sarebbero luoghi assai grati ad abitarvi, se non fosse un’imitazione stomachevole che vi si fa delle capitali, cioè un voler essere, per quanto è in loro, piuttosto cittá capitali che di provincia.

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