< Pensieri (Leopardi)
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XLIII XLV

XLIV.

Se tu interroghi le persone sottoposte ad un magistrato, o ad un qualsivoglia ministro del governo, circa le qualitá ed i portamenti di quello, massime nell’ufficio; anche concordando le risposte nei fatti, tu ritroverai gran dissensione nell’interpretarli; e quando pure le interpretazioni fossero conformi, infinitamente discordi saranno i giudizi, biasimando gli uni quelle cose che gli altri esalteranno. Solo circa l’astenersi o no dalla roba d’altri e del pubblico, non troverai due persone che, accordandosi nel fatto, discordino o nell’interpretarlo o nel farne giudizio, e che ad una voce, semplicemente, non lodino il magistrato dell’astinenza, o per la qualitá contraria, non lo condannino. E pare che in somma il buono e il cattivo magistrato non si conosca né si misuri da altro che dall’articolo dei danari; anzi magistrato buono vaglia lo stesso che astinente, cattivo lo stesso che cupido. E che l’ufficiale pubblico possa disporre a suo modo della vita, dell’onestá e di ogni altra cosa dei cittadini; e di qualunque suo fatto trovare non solo scusa ma lode; purché non tocchi i danari. Quasi che gli uomini, discordando in tutte l’altre opinioni, non convengano che nella stima della moneta: o quasi che i danari in sostanza sieno l’uomo; e non altro che i danari: cosa che veramente pare per mille indizi che sia tenuta dal genere umano per assioma costante, massime ai tempi nostri. Al qual proposito diceva un filosofo francese del secolo passato: «I politici antichi parlavano sempre di costumi e di virtú; i moderni non parlano d’altro che di commercio e di moneta». Ed è gran ragione, soggiunge qualche studente di economia politica, o allievo delle gazzette in filosofia: perché le virtú e i buoni costumi non possono stare in piedi senza il fondamento dell’industria; la quale provvedendo alle necessitá giornaliere, e rendendo agiato e sicuro il vivere a tutti gli ordini di persone, renderá stabili le virtú, e proprie dell’universale. Molto bene. Intanto, in compagnia dell’industria, la bassezza dell’animo, la freddezza, l’egoismo, l’avarizia, la falsitá e la perfidia mercantile, tutte le qualitá e le passioni piú depravatrici e piú indegne dell’uomo incivilito, sono in vigore, e moltiplicano senza fine; ma le virtú si aspettano.

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