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XIV.

30 ottobre 1905.

Il materialismo imperiale della Germania odierna, pomposamente accompagnato dalle tre bestie simboliche di Zarathustra, se riesce ad abbagliare e sedurre il volgo dei politicanti e dei militari, non rappresenta, checchè se ne dica, il nobile spirito tedesco, naturalmente portato a considerare l’ideale come la suprema realtà della vita; è rimasto, non ostante le antisociali astrazioni dello Stirner e le dispettose aberrazioni del Nietzsche, filosoficamente e letterariamente fedele al Goethe e al Kant, all’Hegel e allo Schiller.

Un impero che ha per basi

Le droit de la conquête et le droit de naissance (o padre Voltaire, tu riconoscevi nel tuo IV Enrico due diritti che sono un sanguinoso oltraggio all’umanità); un impero che mette a capo dei suoi fasti il bombardamento di Parigi con relativo incoronamento e Tedeum; un impero, che sovrappone la caserma alla scuola, e minaccia risolvere col cannone i problemi più complessi e delicati della politica internazionale, è istituzione pericolosa all’ordinato svolgimento della civiltà e in aperta contraddizione con la coscienza dei nuovi tempi.

Il dilettantismo burbanzoso del bizzarro nipote del Conquistatore non fa che palesare le magagne e affrettare la trasformazione o la fine di tale impero. Chi civetta balordamente col papa (ahimè di questi civettamenti ci dà oggi un esempio vergognoso e pernicioso il governo italiano); chi domanda ai soldati mandati a giustiziare la Cina, di non fare prigionieri; chi garentisce all’assassino del Bosforo l’integrità territoriale e dichiara che tutto il popolo armeno non vale la vita di un sol corazziere tedesco, non può, anche quando inneggia alla Pace, anzi allora più che mai, se non tenere in continua diffidenza le altre potenze, dissipare le simpatie nazionali, costringere l’Europa a lasciarsi rodere dal cancro infame del militarismo.

Se un tal uomo non ha fin’ora trovato resistenze valide nel buon popolo tedesco, tranne i soliti armeggiamenti dottrinari del socialismo, bisogna ammettere che il prestigio militare ha pur troppo, molta prèsa nella nazione che l’Alfieri definì «una caserma», e che il miraggio di universale predominio (specchietto d’allodole che il fervido imperatore fa tanto spesso balenare agli occhi dei fedelissimi sudditi) esercita ancora un fàscino irresistibile e tien legati al carro imperiale l’orgoglio e la caparbietà proverbiale della vecchia razza teutonica.

Ma quando l’idea sublime della giustizia sociale, conquistando a poco per volta ma irresistibilmente la coscienza dei popoli, getterà nell’ombra le armi prestigiose dell’errore e della prepotenza e i sogni malefici di predominio, sin da ora interrotti dalla rivalità delle altre potenze, e specialmente dalla formidabile vigilanza britannica, saranno dissipati del tutto, la Ragion Pura trionferà su la Ragion Pratica, il sole dell’avvenire risplenderà su le rovine di tutte le istituzioni funeste alla civiltà, e i popoli potranno celebrare fraternamente la triplice alleanza del Lavoro, della Libertà e della Pace.

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