< Pensieri e giudizi < II
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IX. 1

18 luglio 1900.

Dante sarà studiato ed ammirato e venerato finchè l’uomo avrà coscienza di sè e religione di gloriose memorie e fede negli ideali della vita e virtù di raggiungerli.

Ma predicare che per andare innanzi bisogna tornare all’antico, che per rigenerare l’Italia è necessario riaggrapparsi al lucco di Dante, e Dante invocare come protettore e salvatore di nostra gente e quasi creatore e ricreatore unico di nostra civiltà, è una di quelle croniche idolatrie, di quelle mulaggini accademiche, di quelle isteriche frenesie che rendono così vuota, così servile, così stomachevole, per quattro quinti almeno, la storia famosa della nostra vulgar poesia.

Lasciate, miei cari boemi, pazzeggiare e bamboleggiare in siffatti entusiasmi senili i dantisti o dentisti di professione, i grammatici sonnambuli che darebbero la vita di un popolo per un suffisso, i vecchi astiosi e barbogi che guardano con le natiche e pensano con le calcagna.

L’Italia per riaversi ha necessità, prima di ogni altro, di pane, di giustizia e di libertà; poi di scienza che la purifichi e la fortifichi nei lavacri del vero, e finalmente di poesia che risponda agli Ideali moderni e semini di qualche fiore i sentieri affannosi dell’avvenire.

La carovana, estenuata dalle fatiche e dall’arsura del deserto, non pensa di tornare indietro per riposarsi all’ombra delle piramidi oltrepassate da un pezzo, ma spia nell’orizzonte, con occhio febbrile, la vetta di qualche palmizio che le annunzi la vicinanza dell’oasi verdeggiante e le faccia sorridere la speranza di raggiungere finalmente la meta.

  1. Ai giovani redattori di un foglio letterario fiorentino: Bohème.

Note

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