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Pagine autopsicobiografiche
Prefazione I

PAGINE AUTOPSICOBIOGRAFICHE


Nacqui in Catania il 25 febbraio 1844. Ciò che appresi nelle scuole, se tali potevano chiamarsi quelle che avevamo in Sicilia prima del ’60, mi fu più d’ingombro che d’aiuto.

Rifeci da me la mia istruzione, ribellandomi di buon’ora a tutte le superstizioni religiose, filosofiche e sociali. Formai su’ classici il mio gusto; ma chiesi alla Natura e al mio cuore le ispirazioni dell’arte. Quando altri pretendeva riformare la poesia italiana, ricostruendo barbaramente i metri greco-latini, io m’ingegnai di rinnovarla dandole un contenuto scientifico, sociale, moderno.

Non sono addottorato in nessuna scienza; non aggregato a nessuna accademia. Mi sono svolto da me, fuori d’ogni scuola e d’ogni partito, correggendo e mutando le mie opinioni, senz’altro intento che la verità. Ho affrontato e rappresentato, ne’ limiti e co’ mezzi dell’arte, i più ardui problemi della civiltà contemporanea; tentato una forma nuova di epopea, sostituendo al meraviglioso mitologico e romanzesco il meraviglioso scientifico e naturale; son passato dall’epopea alla lirica, dall’elegia alla satira.

Fra la gazzarra o il silenzio congiurato dei critici ho pubblicato le opere seguenti:

Palingenesi, Canti X. Firenze, succ. Lemonnier, 1868.
Le ricordanze, versi. Pisa, Nistri, 1872.
Catullo e Lesbia, studi. Firenze, Succ. Lemonnier, 1875.
Lucifero, poema. Milano, Brigola, 1877.
Il nuovo concetto scientifico. Catania, Galatola, 1879.
La Natura, lib. VI di Lucrezio, trad. Milano, Brigola, 1879.
Giustizia, versi. Catania, Giannotta, 1883.
Giobbe, trilogia. Catania, Tropea, 1884.
Le poesie religiose. id. id. 1887.
Le poesie di Catullo, integralmente tradotte. Napoli, Pierro, 1889.
Empedocle ed altri versi. Catania, Giannotta 1892.
Il Prometeo di Shelley, trad. Palermo, Pedone, 1892.
L’Atlantide, poema. Catania, Giannotta, 1894.
Le Odi di Orazio. id. id. 1897.
Un santuario domestico, commedia rappresentata a Roma nel 1894, stampata a Firenze nel 1897.
L’asceta e altri poemetti. Catania, Giannotta, 1902.

È in queste opere tutta la storia dell’animo mio, dei miei odi e dei miei amori, de’ miei vizi e delle mie virtù. E se ho detto odi, non si scandalizzino. Io non ho mai potuto amare la verità, la libertà, la giustizia senza odiare i loro contrari. Smascherare e marchiare i ciarlatani e i farabutti potenti m’è parso dovere d’uomo, di cittadino, di poeta. Il vespaio dei mezzani mi s’è naturalmente avventato contro; ma la stima e l’affetto degli uomini più puri d’Italia mi ha largamente compensato delle impertinenze e delle perfidie, onde mi han gratificato da trent’anni i truffatori della pubblica opinione e i rivenduglioli della propria coscienza.

I dizionari biografici han dato di me notizie monche, inesatte, maligne; le Antologie, a uso delle scuole, hanno riprodotto di mio pochi versi dei più giovanili e dei più scadenti; i critici e gli storici officiali della nostra letteratura contemporanea han fatto del lor meglio per immolarmi agli idoli armeggioni e ai ciurmadori gloriosi del quarto d’ora. Ma io, della nomea che dànno o tolgono i trafficanti delle scuole e delle gazzette, mi son curato sempre assai poco: molto invece degl’Ideali a cui vivo e nella cui vittoria ho fede incrollabile.


L’arte è stata per me una battaglia perpetua per l’Ideale. Vissuto al di fuori, e, se non fosse superbia, direi al di sopra di tutte le scuole, di tutte le chiese, di tutti i partiti, ma studiandoli e sorpassandoli tutti, io mi sono man mano trasformato, infliggendo al mio animo non pochi tormenti, rinunziando a molte cose che rendono generalmente cara la vita, ascendendo, non so con qual forza d’ale, ma certo con grande ardimento, dalla fede cattolica alla concezione meccanica dell’universo, dalla fede nella monarchia rappresentativa all’ideale umanitario.

Di questo non so se Golgota o Campidoglio ogni grado, ogni passo è stato segnato da una espressione particolare dell’arte mia; tanto che, leggendo con benevola attenzione i miei scritti, nell’ordine onde furono pubblicati, un critico diligente può tessere tutta la storia del mio animo e della mia vita. I momenti più caratteristici, i problemi più ardui della coscienza e della vita contemporanea hanno ricevuto qua e là nell’opera mia trentenne la loro espressione fantastica.

Devo l’emancipazione assoluta del mio spirito allo studio delle opere di Darwin, di Spencer, di Büchner, di Moleschott, di Ardigò, di Haeckel. Ho studiato assai il pensiero contemporaneo nelle letterature straniere; ma non ho accattato, come tanti pur fanno, il mio bagaglio nè ai Francesi, nè agl’Inglesi, nè ai Russi: mi sono studiato invece di rimaner fedele alle buone tradizioni dell’arte nostra, e ho cercato di essere spiccatamente italiano, pur permettendomi quella libertà e quegli ardimenti nello stile, nella lingua, nei metri, che sono detestati dagli accademici e dai pedanti, che in Italia hanno ancora una grande autorità.


Mario Rapisardi

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