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Questo testo fa parte della raccolta Rime scelte di poeti del secolo XIV/Franco Sacchetti


SOPRA LE FOGGIE


Poca vertù ma foggie ed atti assai,
I’ veggio ogn’ora in te, vaga Fiorenza;
Perchè vana apparenza
Mutano i nati tuoi di giorno in giorno.
5Da quella madre antica non ritrai
Ch’al mondo dimostrò la sua potenza:
Ciò n’appruovi l’essenza,

Ch’ancor risuona, del famoso corno.
Non so guardar tanto i tuo’ figli attorno,
10Che io conosca qual sia di tue gesta:
Nè con armata vesta
Veggio nessun seguire il tuo vessillo,
A ciaschedun parendo esser Camillo.
     Se le confuse lingue della torre
15Fosson in lor, che son settantadue,
Le portature sue
Tutte ci sono ed ancor più ben cento.
Non studian altro che levare o porre,
Or giù or su, ed ora meno or piùe:
20Or formica ed or bue
Voglion parer nel lor dimostramento.
Non si trova nessuno esser contento,
Se l’un l’altro con foggia non avanza.
Tant’è la lor costanza,
25Che in un sol dì voglion parer di mille
Provincie e terre e d’oltramonti ville.
     Cominciando dal capo, quanto è nuova
Cosa, a veder la notturna berretta
Esser di dì costretta
30Sovra ’l capuccio frastagliato stare!
Dove, d’intorno al volto, fatti in prova
Stanno moscon di panno, una righetta
Che ciaschedun si getta
A dar negli occhi e ’l naso a tempestare.
35Sanza che, io veggio gole abbottonare
E gozzi stringer più che con randello,
A rischio no il cervello
E gli occhi che non escan dalla fronte,
Per farsi d’acqua uccelli e non di monte.
40     E quanti uncini e raffi alle lor spalle
Portano e corde, chi gli mira il vede:
Una nave possede
Tal’ora men di lor canapi e sarte.
Più allacciati son che strette balle,
45Cominciando dal capo in sino al piede.
Nessun quasi non sede,
Che non rompa il legame o tutto o parte.

Lasciato hanno le gonne e tolta l’arte
De’ farsettoni all’unghera maniera;
50E stretti in tal matera
Vanno nel corpo, sì che ’l ventre torna
Nel grosso petto ove ciascun s’adorna.
     Maniche o manicon tanti e diversi
Veggio, che a pena ïo contar li posso:
55Non è corpo sì grosso
Che non entrasse ov’alcun braccio posa.
Con cioppe e con gabbani di più versi
E maniche che pendon sovra ’l dosso,
Ciascun di forza scosso
60Par sanza braccia o manco d’ogni cosa.
La calza, dove ella sta più nascosa,
Attornïata è da diversi lacci
Con gruppi e con legacci;
Portando punte tali alle scarpette,
65Che le più larghe vie a lor son strette.
     Le nove forme e foggie tante e tali
Mi fan pensar onde alcun nato sia.
Mostra tal di Sorìa
E tal d’Arabia aver recato i panni;
70Tal par ch’aggia veduti quanti e quali
Paesi abbia l’Egitto o l’Erminìa;
Alcun par stato sia
Qual col gran Cane e qual col Prete Gianni.
Non scrisse Livio tanto ne’ suoi anni
75Quant’io arei a scrivere, a contare
Quel ch’io ho veduto usare
E veggio ogn’or, Fiorenza, ne’ tuo’ figli,
Sanza donarti aiuto o buon consigli.
     Canzon mia, va’ dove ’l desìo ti mena,
80E dove piace a te tuo’ versi spandi:
A piccioli ed a grandi
Di’ che colui è fuor d’ogni salute
Che foggie cerca e fugge ogni vertute.


(Dalla Serie dei testi di lingua del Poggiali: confrontata alla lezione che ne dà il Rigoli in Saggio di rime, ecc.; Firenze, 1825.)

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