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VI
Il temporale
1
Nascea dal monte il mattutino raggio,
e Fillide tra i fior meco sedea
su la sponda del rio, sotto d’un faggio,
a cui d’intorno il gregge suo pascea,
e un fresco venticel la bionda chioma
spargeale sciolta su l’acerbe poma.
2
L’impaziente vaga verginella
si lagnava dell’aura, e con la mano
il crin fuggito, dalla faccia bella
volea, crucciosa, allontanare invano:
— Io vo’ — le dissi — in stretto nodo avvolto
cingerti il crin, che ti lambisce il volto.
3
Corrò due rose, che, in pieghevol strette
laccio d’amor, lo freneranno errante;
l’aura importuna le tue chiome elette
non oserá di sprigionar tremante:
l’arresterá su que’ capelli d’oro
il timor di sdegnarti e il mio lavoro.
4
Tu vien’ meco, idol mio: dove il torrente
scende dal monte nello stagno e fiotta,
sorge cara ai pastor siepe ridente
nel fesso scoglio della nera grotta. —
Fille mi segue, e giá s’udia vicina
l’onda mugghiar dalla pendice alpina.
5
Ma il ciel si turba: vorticoso il vento
le paglie innalza e fa girar le fronde,
piú bruno il rio fa cento cerchi e cento,
un tenebroso velo il sole asconde:
spruzzan le goccie il rivo, e a piú colori
tingon, cadendo, i ripercossi umori.
6
Giá la pioggia discende, un nuvol nero
corre, e le nubi, che disperse sono,
unisce, i lampi accende, apre il sentiero
al folgor, sordo rumoreggia il tuono,
la grandine flagella su del solco
le cure e le speranze del bifolco.
7
Fillide trema, al sen mi stringe e il passo
rivolge all’antro, che un asil ci appresta;
v’entrammo, e nell’orror del cavo sasso
ci fur propizi Amore e la tempesta.
Era sereno il ciel, fuggito il giorno,
quando seco all’ovil feci ritorno.