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X. Damone
Idilli - IX. Il lume di luna o l'origine... Idilli - XI. Amore ape

X

Damone

(Egloga)

Damone, Dameta, Menalca e Tirsi.

Damone

     Dimmi, Dameta, è tua la greggia?

Dameta

 Quelle
capre son mie, del mio compagno queste,
e indivise fra noi sono le agnelle.

Damone

     Che facesti, o Menalca? Agili e leste
5ha piú dello sparvier l'unghie costui,
né mai di quel che è suo si pasce o veste.

Menalca

     Cessa, Damon, di fare ingiuria altrui,
né mordere qual cane da pagliaio:
so chi è Dameta, né somigli a lui.

Damone

     10Lo sa ben Coridon, che nel granaio
salir lo vide della nostra vigna,
e ghermirne i pulcin dentro il pollaio.

Dameta

     Taci, cornacchia vil, lingua maligna!
Quello fu Mospo, il tuo garzon, che giá
15a rubar le galline alla matrigna.
     Ma tu, che biasmi altrui, sai poi qual sia
la fama tua? Solo ti puoi dar vanto
d’ignoranza, superbia e di follia.

     Alcon sfidasti al paragon del canto,
20e fosti vinto dal fanciullo Ergasto:
credi d’essere Apollo, e sei Zananto.

Menalca

     Mel rammento ancor io, che del contrasto
giunsi sul fine; e il fanciullin seduto
era su d’una botte e tu sul basto.

Damone

     25Io?... V’ingannate, non ho mai ceduto;
né vi temo, e a cantare anzi vi sfido.

Dameta

All’impegno acconsento.

Menalca

 Io nol rifiuto.

Damone

     Tanto di me, de’ versi miei mi fido,
che un capretto depongo. Eccolo: a pena
30tener lo posso, in vostra man l’affido.

Menalca

     Ed io depongo questa fiasca piena
di malvagia, che di Maremma io reco,
aspra d’intagli, e da me compra in Siena.

Dameta

     Io questo agnel, che fra le braccia ho meco.
35Ma chi giudice fia?

Damone

 Veggo da lunge
il vecchio Tirsi, che Licisca ha seco.

Menalca

     Quant’opportuno e desiato ei giunge!
Seco cantai piú volte, e sento in petto
che la presenza sua lena mi aggiunge.

Dameta

     40Tirsi, lite è tra noi: giudice eletto
tu sei dei nostri versi: odi e decidi.
Quest’agnello depongo.

Damone

 Io quel capretto.

Menalca

     Io questa fiasca.

Tirsi

 Tu meco dividi,
Menalca, questo poggio, e, a me rivolto.
45quivi, Dameta, con Damon t’assidi.
     Tutto c’invita; piú ridente il volto
spiega natura; in mezzo all’erbe tenere
colcarsi è dolce. Incominciate: ascolto.

Damone

     «Opra tutto è di Giove, e Palla, e Venere,
50e le muse pimplèe, cura e delizia
di questo cuore e dell’umano genere».

Dameta

     «Febo non m’è nemico. Io la primizia
gli offro dei frutti, e nei miei campi scendere
suole feconda deitá propizia.
     55Tutti onoro gli dèi; ma soglio appendere
ad Apollo piú voti, a Pale, a Amore,
che sanno i prieghi miei pietosi intendere».

Damone

     «Odio Cupido: è un dio tutto languore,
e allor che a ‛maggio i verdi lussi estolle’,
60affascina gli armenti ed il pastore».

Dameta

     «Tanto ama l’ozio Amor, quanto le zolle
pingui il frumento, il bianco pioppo il fiume,
il platano il ruscel, la vite il colle».

Menalca

     «Ma dolce è l’ozio; ché de’ cuori il nume
65di nettare lo sparge, e ciascun piange,
se sdegnoso da lui volge le piume».

Damone

     «Piú volte il veggo, ove il ruscel si frange
‛a scoglio d’alga, mascherato il viso’,
che si ride di noi, né ci compiange».

Dameta

     70«Anch’io lo vidi, d’uman sangue intriso,
dardi aguzzar con fanciullesche dita,
e a noi scoccarli con protervo riso».

Menalca

     «Uno a me ne lanciò; di mia ferita
però son lieto e benedico il giorno,
75onde appresi a gustar che sia la vita».

Damone

     «Lungi vada il crudel dal mio soggiorno,
e scacciatei da voi, ninfe e pastori».

Tirsi

Cessa, incauto caprar! S’asconde il giorno
     e della sera il venticel vien fuori;
80Espero rilucente in ciel fiammeggia.
e cadono dai monti ombre maggiori.
     Non far, Damon, che piú si altier ti veggia,
e alla capanna tua saggio ritorna.
Itene, amici, a radunar la greggia:
     85a voi tocca il capretto, a lui le corna.

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