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XI
Amore ape
Deposti in grembo a Venere
arco, benda, faretra, e face e strali,
cangiato in ape, Amor
giá depredando i fior di prato in prato.
5Al ventilar dell’ali
del mal celato nume,
s’agitavan feconde
le tepid’aure fra l’erbette tenere,
ed alternando il mormorar del rivo,
10sospiravan le fronde.
Volubile e lascivo,
or sul timo, or sul croco
riposava per poco,
miele suggendo, le dorate piume;
15e, come lo consiglia
capriccioso desio, tutta dei fiori
l’odorosa scorrea lieta famiglia.
Stanco di cibo e di carezze, alfine
l’ali raccolse di una siepe all’ombra,
20ove, tra il folto delle foglie ascosa,
la Voluttá dormiva,
sparsa di minio la dischiusa bocca.
Credendola una rosa,
Amor, mai sazio, vi si lancia, e, mentre
25tenta sugger da lei miele novello,
versa sul labbro quello
che aveva in seno avidamente accolto.
Sorbí la dea, agitata
da ignoto nume, il nettare soave;
chiuse le labbra, le inarcò, le scosse,
e volse i languid’occhi,
quel che l’avea baciata
rimirando chi fosse.
D’allor d’Amore i baci,
se non li attosca gelosia crudele,
sono aspersi di miele.