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II
Il gabinetto
(1777)
Conca, che al tepido spirar di Zeffiro
secondi i placidi moti del mare,
per l’onde chiare,
a questo lido
5reca l’amabile diva di Gnido.
Presso del morbido sofá l’aspettano,
sul nudo gomito curvi, i Piaceri,
e gli origlieri
le capricciose
10biformi Veneri spargon di rose.
Varca la vitrea finestra un raggio,
in croceo frangesi velo ondeggiante,
e va tremante,
per l’aria oscura,
15di luce a tingere l’opposte mura.
Cinti in purpurea stola, si veggono
ne’ specchi pendere mille su l’ali
Silfi immortali,
cui il crin disciolto
20di manto è agli omeri, di benda al volto.
Chi reca balsami entro di sassone
tazza, piú lucida dell’alabastro,
chi scioglie un nastro,
chi lo rilega,
25chi scuote un pettine, chi un lin dispiega.
In veste candida, sciolta la treccia,
regina assidesi la bionda Irene;
scopre il mio bene
il sen, cui deve,
30men bianca, cedere l’alpina neve.
Lusinghe instabili sopra vi aleggiano,
dolce rimprovero di chi mi aspetta:
diva, ti affretta:
giá un cheto orrore
35copre, propizio, l’opre d’Amore.
Se tardi, i languidi lumi cerulei
noioso-torbido pensier le preme,
e la mia speme
sparge di affanno
40invidiosissimo padre tiranno.