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XVIII
Amor prigioniero
(1787)
Rompe le dense tenebre
l’alba col nuovo lume,
gorgoglia l’onda tremula,
che riconosce il nume.
5Bacia nascente zeffiro,
molle d’argentea brina,
caro al nocchier, la placida
oriental marina.
Amor giá scioglie il canape
10dalla tirrena sponda,
l’aure propizie spirano,
geme canuta l’onda.
Coi pinti remi fendono
i flutti cento Amori,
15adorno il sen di porpora
e il biondo crin di fiori.
Splende la poppa idalia,
aspra d’intagli e d’oro,
superba di barbarico,
20amatunteo lavoro.
Con la fenicia vergine
Giove la prora adorna,
e specchia nell’Oceano
le insidiose corna.
25Ha il genio il fischio e ai docili
vezzi il lavor comparte:
altri le vele allentano,
altri sciolgon le sarte.
Erra la gioia garrula
30sovra la sponda, preme
i remiganti, l’opera
ferve, la ciurma freme.
A gara i geni cantano:
— Sul mar regna Cupido! —
55— Regna Cupido! — querula
l’onda risponde e il lido.
Giá da lontan salutano
le desiate mura,
ove il destin di Fillide
40hanno le Grazie in cura;
Fille, cui brune scendono
sul colmo sen le chiome,
che dalla pafia Venere
solo distingue il nome.
45Quando nemica scopresi
nave, cui pinge il rostro,
grave d’argento, il tirio
folgoreggiar dell’ostro:
l’alte bandiere additano
50e la fulminea proda,
che in quella i figli albergano
della volubil moda.
Sotto la prora altissima
Proteo di cento forme
55l’onda divide ed agita
il cheto mar che dorme.
Il garzoncel di Cipride
conosce il suo periglio,
e alla vicina spiaggia
60volge inquieto il ciglio.
Gli Amori al corso affrettansi,
tesi sui curvi remi:
il lido cresce, crescono
seco i perigli estremi.
65Giá Amor raggiunge l’agile
nemica nave, e guerra
fatal gli move, in faccia
della bramata terra.
Sta su la sponda intrepido
70il Falso onor tiranno,
seco è l’accorta Industria
e il fortunato Inganno.
Venti lunate amazzoni,
tinte di minio il volto,
75il crin di bende barbare
ferocemente avvolto,
mille sonanti vibrano,
di rio veleno infette,
dal corno lucidissimo
80asiatiche saette.
Servi, guerrier preparano
il fuoco intanto e l’armi,
ed alla pugna invitano
col vivo suon dei carmi.
85Altri ne manda il Rodano,
Vistola, Tago ed Ebro,
Schelda, Tamigi e Tanai,
altri il Danubio e il Tebro.
Cresce la pugna, fervono
l’ire stolte, fugaci
fischian le frombe, e splendono
le minacciose faci.
Mentre il confuso tremito
la téma asconde, fuore
scocca dall’arco un empio
dardo ed impiaga Amore.
A te, sdegnosa doride,
fu questo colpo ascritto;
Clori, che Amor fe’ nascere
nel fecondato Egitto.
Cadde tremante e pallido
il pargoletto esangue,
e la nemica freccia
trasse tinta di sangue.
Sul legno armati salgono
cento nemici, e il braccio,
e il nudo piè gli cingono
d’una catena e un laccio.
Chi lo percuote, ahi barbaro!
chi gli spennacchia l’ali,
chi benda e crin gli lacera,
chi l’arco frange e i strali.
Alfin stanchi, lo guidano
in carcere ristretto,
ove una lorda tavola
gli offre il riposo e il letto.
Amor sospira; crucciasi
che non può uscir di vita:
piange, singhiozza e tacito
guata la sua ferita.