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XXXIII. L'amicizia
Scherzi - XXXII. A Nerina Scherzi - XXXIV. Alla rosa

XXXIII

L’amicizia

Ad un amico angustiato da continue febbri

     Vedi, Carelli amabile,
scarchi di neve i monti,
sciolte da ceppi gelidi
Tonde vitree dei fonti.

     5Fuggono i morbi squallidi
al natio lor soggiorno.
Di’: la tua febbre pallida
pigra t’è ancor d’intorno?

     A te, del biondo Apolline
10ministro sacerdote,
son del figlio Esculapio
l’arti vitali ignote?

     Non sai che i don di Bromio
sanâro Anacreonte,
15che da’ morbi il difesero
i lauri della fronte?

     Di fervido «canaria»,
o di liquor del Reno,
o dell’annoso ciprio
20vino t’inebria il seno.

     Lascia che al resto pensino,
proprizi a te, gli dèi:
essi, che al ben provvedono,
sanno che ancor vi sei.

     25A che cercare instabili
ciò che avvenir ci addita?
sol le presenti gioie
ministre son di vita.


     Fra le atre cure torbide,
30che seguon le guerriere
falangi, e che sen volano
fra l'armi e le bandiere,

     me deil’ultrici furie
le pallide seguaci
35a disturbar non giungono
nelle secrete paci

     d’un antro, dove tessere
godo al nemico affanno,
in sen della mia Fillide,
40un amoroso inganno.

     L’aurora nasce, e nascono
i miei pensier con lei;
il dì sen muore, e muoiono
con quello i pensier miei.

     45Il vano cuor non m’agita
indiscreto desio:
a che l’altrui pretendere,
quando mi basta il mio?

     Forse mi gioverebbero
50i tesori di un Creso,
quando desio insaziabile
m’avesse il cuore acceso?

     Sarei inquieto e povero
fra l’oro e fra l’argento,
55e del piacer lo stimolo
saria quel del tormento.

     Non curo o sprezzo i vortici
d’un mondo tempestoso:
un soglio non compensami,
60se perdo il mio riposo.


     Tito si strugge in lacrime,
ma Berenice parte:
non vuol regine barbare
il popolo di Marte.

     65Cinti di regia clamide,
colpe gli affetti sono,
e il di lui cuore invidia
un pastorello, in trono.

     Noti a noi stessi e al tenero
70stuolo di pochi amici,
fra le discrete voglie,
non sarem noi felici?

     Lenti rimorsi, o inutili
pensieri del passato,
75potranno turbare invidi
un sí felice stato?

     No: né potrá volubile
alata-i-piè fortuna
ai dí venturi asconderci
80entro d’ignota cuna.

     Vivrá su l’aurea cetera,
che dell’intonse chiome
il dio ci die’, di Fillide
nel nostro eterno il nome.

     85E su la tomba gelida,
gigli spargendo e rose,
incurveranno i satiri
le fronti rispettose.

     — E qui — diranno — giacciono
90ai boscarecci numi
fra poca muta cenere,
i semplici costumi. —

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