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XXXIV. Alla rosa
Scherzi - XXXIII. L'amicizia Scherzi - XXXV. Ad un amico

XXXIV

Alla rosa


     D’auretta tiepida
vezzosa figlia,
nunzia vermiglia
del vago april,
     5dell’alba candida
cura amorosa,
rosa odorosa,
rosa gentil,

     perché ti neghi
10d’amore ai frutti?
È amar per tutti
necessità.
     D’amor la face
tu fuggi invano:
15profana mano
ti coglierá.

     Indarno copronti,
invidiose,
frondi gelose
20d’amico vel;
     invan ti vestono
su di ridenti
spoglie, pungenti
spine lo stel.

     25Forse carpirti,
ninfa del rivo,
fauno lascivo
non oserá.

     Forse al vederti,
30driade bibace
la voglia audace
raffrenerá.

     Su l’ali tremole,
rispettosetta,
35la farfalletta
s’arresterá.
     Col vivo aculeo,
l’ape ingegnosa
la siepe ombrosa
40difenderá.

     Ma invan da questi
sarai sicura,
che di te cura
l’Amore avrá.
     45Un zeffiretto
innamorato
col dolce fiato
t’impregnerá.

     Un moto languido,
50figlio d’amore,
di bel pallore
ti pingerá.
     E, a nuovo stimolo,
le tue gradite
55spine fuggite
ricercherá.

     Sciorran le frondi
Pinvido freno:
il tuo bel seno
60si schiuderá.
     Lo stuol dell’aure
di lui seguaci
tepidi baci
t’imprimerá.


     Tu, cura, o Fillide,
de’ pensier miei,
la rosa sei
della beltá:
     qual fiore fragile,
nascendo cade,
vien con l’etade,
con essa va.

     Un sol momento
che l’uomo perde,
languisce il verde
di gioventú:
     fredda l’opprime
pigra vecchiezza;
e giovinezza
non torna piú.

     Deh! lascia cogliere
quel vago fiore,
pria che all’amore
lo furi etá:
     s’io sarò Zeffiro,
Fille vezzosa,
l’istessa rosa
l’invidierá.

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