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XXXVI. A Mirtillo
Scherzi - XXXV. Ad un amico Scherzi - XXXVII. Al marchese G. P., amico infedele

XXXVI

A Mirtillo


     Vago Mirtillo, porgimi
il sacro plettro eburneo,
che del buon Flacco i numeri
di render s’affannò;
     quel che sul vago margine
d’amico rivo argenteo
spesso il nome di Fillide
all’aure consegnò.

     S’erge per folti frassini,
ove la selva ombreggia,
piú che d’irato Borea
prende a scherno il furor,
     al di cui rezzo godono
pascer l’agnelle candide,
ov’ha dal sol ricovero
l’affannato pastor.

     Questo compagno tacito
fu dei piaceri teneri,
che ad ogni nuovo nascere
riconduceva il dì
     Biechi allor mi guatarono
invidiosi i satiri,
e, le dita mordendosi,
Pan dal bosco partì.

     Le lascivette naiadi
furtive mi sorrisero,
le desiose driadi
sortir dai tronchi fuor.
     Ed ai fauni additandomi,
per non sprezzato esempio,
ridendo, plauso fecero
al piacer e all’amor.


     A questo tronco appendere
voglio l’aurata cetera,
che, don di Fille, resemi
non ignobil cantor.
     Di sacro mirto cingimi
le sparse chiome, e d’edera
aureo nappo circondami
di cure fugator.

     Voglio i tuoi doni, o Bromio,
sovra ’l terreno spargere,
che la votiva a Fillide
pianta nutrendo va.
     Chi, se non tu, dall’invida
rabbia d’alpina driade,
o indiscreta greggia,
chi la difenderá?

     Su la corteccia incidasi:
«Dono del vate lesbio,
l’etrusca lira a Fillide
Labindo consacrò.
     Quella che, stanca volgersi
fra l’armi e fra le nobili
mete di polve olimpica,
per lei d’amor cantò».

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