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III. La pace
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III

La pace

A Fille Lucumonia.

Amantium irae amoris reintegratio.

Terent., Andria.


     Son tuo: non pianger piú, candida figlia
del severo Cairba. Era la notte,
tacea la valle, addormentato il vento
nella rupe giacea della montagna;
quando, nunzia d’amor, venne dal colle
la bruna occhi-modesta verginella.
Il tuo foglio recò: balzai dal letto,
l’aprii, lo lessi, le soavi note
baciai piú volte e cancellai col pianto
la rimembranza di un tradito affetto.
Corro impaziente alle paterne torri:
— Ov’è — gridai — di questo cuor la bella
dal niveo seno, dagli azzurri sguardi? —
Mesta sedevi entro secreta stanza,
china la fronte sul tornito braccio,
sparse le chiome, pallidetto il volto,
qual giglio offeso dal notturno gelo:
ti scendevan le lagrime dagli occhi
mal trattenute e le bevean le labbra.
Tre volte, per parlar, ti rivolgesti
pietosamente, e ti mancò tre volte,
fra i singhiozzi, la voce. Il cuor mi strinse
la tenerezza: lacrimoso il ciglio,
balbettando gli accenti, il foglio io trassi
del mio ritorno e lo guatai tacendo.
Tu la man mi stringevi ed io smarrito,
semi-aperta la bocca sospirosa,
immobile pendea. Mi scossi alfine

dopo un lungo silenzio: — ... Ingrata — io dissi —
30perché tradirmi?... — e mi coprii la faccia.
Dell’innocenza tua chiamasti i numi
in testimonio allora, e le carezze
confermaron la fede e i giuramenti.
Amor sorrise, e incoronò la pace
35di fragil mirto e di languenti rose,
e dei trionfi suoi nei fasti incise
il dì secondo del ridente aprile.

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