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VII
Alla stessa
Giá la febbre pallidetta
volse altrove il pigro volo,
giá dei Giochi il lieto stuolo
va muovendo l’agil piè.
5Cinta il crine e il sen di fiori,
la Salute e i snelli snelli
suoi ministri ricciutelli
van scherzando intorno a te.
Bella Fille, e tu, nel sacro
10d’erma cella orror profondo,
involar ti vuoi dal mondo,
involar ti vuoi da me?
È che il cielo gl’indiscreti
non ascolta umani voti,
15e la cura lascia ai Noti
di disperderli nel mar.
Giura ancora quel guerriero
di lasciar, s’è salvo, il campo;
ma dell’armi al primo lampo
20ei ritorna a guerreggiar.
Il nocchier tra le tempeste,
se non resta in mare assorto,
giura ai numi, giunto in porto,
il suo legno abbandonar.
25Ma sereno è il cielo a pena,
tace il mar, sospira il vento,
ch’ei del liquido elemento
torna l’ire a cimentar.
L’un fra ’l sangue e fra la polve
30cinge il crin di nuovi allori,
ed è prezzo a’ suoi sudori
piú d’un regno conquistar.
Giunge l’altro al patrio lido,
e riporta e gemme ed oro,
35e sta lieto sul tesoro
la vecchiezza a riposar.
Se voleva il cielo ignota
tua beltade, la natura
perché pose tanta cura
40per formarti a lui simil?
Perché mai, rapita all’ombre,
ravvivar dell’amorose
gote tue volle le rose,
volle il labbro tuo gentil?
45Sotto il ciglio, da cui pende
il mio fato, amata Fille,
il fulgor di tue pupille
per asconderle animò?
Non offerse quel crin d’oro
50dolce laccio a un cuor conquiso,
che perché fosse reciso
dalla man che lo serbò?
Perché fosser vano pondo,
di due eguali poma intatte,
55quel bel sen sparso di latte,
che idolatro, ricolmò?
Ed un cuore sí pietoso,
dolce segno ai strai d’amore,
perché inutile rigore
60lo pascesse, ti formò?
E può ascrivermi a delitto,
quand’ei stesso l’ha creato,
che da me sia, Fille, amato
un sembiante lusinghier?
65Ai suoi cenni ubbidienti,
s’aman pur tra verdi sponde
fuggitive o pigre l’onde,
s’aman l’erbe, l’aure e i fior.
Quell’augel, che non paventa
70venti e mar, da estranio lido
a cercar l’antico nido
è condotto dall’amor.
Sola tu, che lui somigli,
dell’amor sprezzi le faci,
75che temprate son de’ baci
alle fiamme e dei sospir;
per condurre i giorni e gli anni
fra le cure egre dolenti,
ove, paghe mai, le menti
80sono oppresse dai desir.
Dell’amor le rose cògli,
fínch’è tempo, senza spine;
ma t’affretta: ha il suo confine
la fugace gioventú.
85Indiviso da vecchiezza
segue il tardo pentimento,
e, ministra di contento,
quell’etá non torna piú.
Se v’è alcun, Fille, che vanta
90gravi a te massime austere,
le allontana dal piacere
la fatal necessitá.
Che se ancor goder potesse,
non l’udresti e notte e giorno
95muover guerra a te d’intorno
alla dolce voluttá.