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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti d'alcuni arcadi più celebri/Giulio Bussi
VIII
Poi che superbia rea l’alme più belle
Rapì dal Cielo, e fè cangiare in mostri,
Mille colà dentro i tartarei chiostri
Nacquer da incesti rei furie novelle.
5Frode ed invidia al ben oprar rubelle,
Spargeste allor primiere i toschi vostri:
Avarizia, e lascivia a’ danni mostri
Sorsero, al lusso e all’interesse ancelle.
Ma per unir d’ogn’altra in una i mali,
10In cui tuto stillossi il pianto eterno,
Ebbe l’ingratitudine i natali;
Deforme sì, che con obbrobrio, e scherno
Abborrendola in se, fra noi mortali
Pieno d’orror la rigettò l’Inferno.
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